«Partito della Nazione» è l’allocuzione più in voga per definire il Pd di Renzi. Se la terminologia dovrebbe lasciare interdetti per la perdita di connotato sociale che presuppone e per l’aggiunta di connotati tribali che rievocano vecchi fantasmi, ancor più dovrebbe risultare inaccettabile rispetto a quella dimensione europea che tutti riconoscono come lo spazio ineludibile dell’oggi. Ma in realtà la dimensione “neutra” della nazione è precisamente quella proposta come complementare alla accettazione fatalistica dell’«Europa Reale», del «ce lo chiede l’Europa».

Nell’epoca del capitalismo globale finanziarizzato, di cui questa Europa è una articolazione, le dimensioni sociali sono annullate, i conflitti banditi. Le identità tollerate sono quelle che fanno parte dell’articolazione della mega macchina. Le Nazioni ritrovano una loro dimensione ma in realtà come non luoghi chiamati a guerreggiare e a patteggiare tra loro in relazione subordinata.

E peggio va ai cittadini della Nazione, siamo sempre più deprivati dagli elementi fondanti della cittadinanza sia in termini civili che sociali, ridotti in stato di precarizzazione esistenziale e messi alle dipendenze del sistema.
Questo è il regno delle élites, che ha sostituito la democrazia di massa del ‘900. Élites che a loro volta possono venire sacrificate se la persistenza del sistema lo richiede. La «rottamazione», termine non a caso meccanicistico, parla precisamente di questo. Qualunque pezzo può essere sostituito se rischia di inceppare il meccanismo.

In questo quadro si inserisce l’attualità del voto europeo, non c’è dubbio che esso ha mostrato ampie zone di estrema sofferenza che chiedono alla macchina di ripensare agli ingranaggi per continuare a funzionare così come da progetto.

Qui si situa il punto di attacco del «renzismo» al quadro europeo. Renzi colloca la propria macchina nazione, in cui il motore reale sta assai più nella dimensione governativa che in quella partitica così come in tutti i «sistemi reali», nella prospettiva della rottamazione di alcuni ingranaggi per consentire alla macchina di continuare a funzionare.
Nel modo con cui egli ha affrontato l’incipit del semestre italiano c’è precisamente questo. L’accettazione del quadro, l’«Europa reale», cioè l’Europa finanziaria, di mercato, austera e ademocratica, coniugata con una revisione interna di alcuni meccanismi, l’idea della «austerità espansiva», e il balenare del ricambio interno, del sacrificio di parte delle élites.

Il punto di articolazione tra accettazione del quadro e ricambio interno si realizza precisamente intorno alla dimensione della cosiddetta austerità espansiva, brillantemente definita da Emiliano Brancaccio «Flessibilità nel rigore». In un quadro rigido, di rigore, la flessibilità richiesta è quella di attaccare Costituzioni, democrazia diritti e stato sociale.
In Italia il tutto avviene con la complicità della grande stampa nazionale (cancellano dai propri articoli il termine rigore, così resta solo flessibilità, per esaltare vittorie inesistenti di Renzi). Non a caso nel discorso al Parlamento italiano di illustrazione delle linee guida del semestre Renzi ha dedicato una citazione di merito a Schroeder, per aver permesso, a suo dire, con le riforme del lavoro (Hertz vier) che hanno flessibilizzato strutturalmente il mercato del lavoro, di coniugare austerità e occupazione.

La partita delle nomine europee si sta chiudendo come previsto da mesi, male, con la conferma delle larghe intese dell’austerità. Perché ciò che non si vuole è che cambi il gioco. Ed è questo, precisamente, che dobbiamo fare noi e che abbiamo già avviato con la lista L’Altra Europa con Tsipras. A partire dai fondamenti.

Se Renzi dice partito della Nazione, noi dobbiamo lavorare a un processo per un vero soggetto Europeo, di democrazia, di sinistra, di movimento, nuovo, che rifugge il minoritarismo, che supera storie e appartenenza, che coinvolge dagli attivi nella lotta per la difesa della Costituzione ai militanti del movimento No Tav.
L’affermazione di Tsipras in Grecia, di molte forze di alternativa europea vecchie e nuove, come Podemos in Spagna, il passaggio del quorum della nostra lista italiana, dicono che questo spazio c’è.

Proprio la vicenda italiana mostra come sia stato premiato non un semplice bisogno di rappresentanza ma l’avvio della messa in campo di un progetto precisamente a dimensione europea, unico, nato nella specificità italiana, rompendo con schemi e pratiche che hanno perso, che non riprende modelli adatti ad altri paesi. Con un leader, Tsipras, un programma, l’europeismo di sinistra e democratico, una proposta per la fase che abbiamo di fronte, la revisione del debito, un sistema di alleanze, soggetti sociali di riferimento. È questa strada che va continuata.

Quando diciamo progetto costituente a dimensione europea pensiamo al processo per una soggettività capace nei territori di muoversi con respiro europeo, di promuovere coalizioni sociali costituenti l’Altra Europa, ripartendo precisamente da uno dei terreni dove è avvenuta la sconfitta politica e sociale del movimento operaio del ‘900. A una soggettività che lavora, collaborando in particolare con le nuove soggettività come Podemos, per consentire un allargamento e un rafforzamento delle relazioni esistenti verso le realtà del Nord Europa e dell’Est, dove più debole è la situazione. E che lo fa continuando ad avere esplicitamente come leader di riferimento Alexis Tsipras, per altro vicepresidente della Sinistra Europea.

È questa nuova frontiera che può consentire di valorizzare al meglio gli elementi di nuova politica, di cittadinanza, territoriale, di intellettualità, di rifondazione della sinistra che sono state componenti importanti del successo dell’Altra Europa.