Incontro interlocutorio senza significativi passi avanti quello di ieri tra il ministro del lavoro Andrea Orlando e le parti sociali sulla riforma «universale» e «selettiva» degli ammortizzatori sociali. Resta il nodo dei costi per la transizione (si parla di un quadriennio) e a regime della riforma. Alcune stime hanno parlato di costi pari a 6 o 7 miliardi, ma anche di 8 miliardi se considerati gli interventi sull’indennità di disoccupazione. Per ora, al capitolo «coperture», ci sarebbero in cassa 1,5 miliardi di euro ricavati dalla sospensione del «Cashback di Stato». La parola finale spetterà al ministero dell’Economia che ha in mano i cordoni della borsa.
Nella riunione di ieri è stata ribadita da parte delle imprese, soprattutto del settore terziario e in particolare del commercio e del turismo, la necessità che lo Stato copra gli aumenti a loro carico per finanziare la contribuzione una volta entrata a regime la riforma. Nel paese con i salari proporzionalmente più bassi d’Europa, con un’economia predatoria e sommersa basata sul precariato di massa, evasione e elusione fiscale è una richiesta logica e il governo troverà eventualmente il modo di rispondere prontamente. Di solito la questione è rubricata: «costo del lavoro». E tutti dicono di volerlo tagliare. Tendenzialmente si tende a tagliare i salari e i contributi dei lavoratori, a cominciare soprattutto da coloro che hanno un lavoro intermittente e precario . In questi casi il taglio è invisibile.

La riforma di Orlando, già incubata dal governo precedente ma da allora rimasta nei cassetti, si è posta il problema di assicurare un sostegno alla disoccupazione tramite estensione della cassa integrazione ordinaria e straordinaria a soggetti dipendenti che oggi sono esclusi. A tale proposito si parla di una copertura obbligatoria dei Fondi bilaterali che andrà alle imprese da 1 a 5 dipendenti. Inoltre le tutele saranno estese agli apprendisti e ai lavoratori a domicilio, sempre che questi ultimi risultino contrattualizzati, altrimenti niente garanzie. Sarà cancellata la cassa in deroga. Nella consueta politica degli incentivi alle imprese dovrebbe rientrare anche l’idea di un «bonus» (riduzione della contribuzione addizionale) per quelle che non useranno i nuovi ammortizzatori per un congruo periodo di tempo. Per la Naspi i requisiti di accesso vengono resi meno »rigidi» e si posticipa la decorrenza del taglio mensile del 3% dell’importo che scatta dal 4 mese (cosiddetto » décalage»). Per la Discoll si innalza la durata massima e si riconosce la contribuzione figurativa.
Si tratterà di capire nel dettaglio se la riforma, per ora in una bozza di sei pagine, almeno quella resa nota alle parti sociali, riuscirà a tutelare e in che modo coloro che entrano ed escano dal perimetro del lavoro salariato. Quanto al lavoro autonomo il testo prospetta soluzioni alquanto incerte sulla disoccupazione (il bonus «Iscro» è totalmente inadeguato) mentre parla di garantire malattia e maternità.

Il prossimo due settembre ci sarà un nuovo incontro tra Orlando e le parti sociali sulla questione delle «politiche attive del lavoro» che la riforma degli ammortizzatori sociali intende rendere obbligatoria per coloro che useranno la Naspi e la Discoll, oltre che l’«Iscro» delle partite Iva. Insieme dovranno affrontare il percorso di sorveglianza, moralizzazione e obbligo alla «riattivazione» attraverso la formazione obbligatoria al quale saranno sottoposti i beneficiari del cosiddetto «reddito di cittadinanza» reputati abili al lavoro. Questo sistema di «Workfare» sarà portato in conferenza Stato-Regioni e sarà coordinato con le annunciate modifiche al «reddito di cittadinanza». ro.ci