Un tempo, Ortucchio era un isolotto nel bel mezzo del lago del Fucino, oggi prosciugato. È forse proprio per questa consuetudine ancestrale con l’acqua e i suoi continui riverberi che Lea Contestabile possiede un talento speciale nel far affiorare ricordi, «cucendo» giorno dopo giorno la sua costellazione artistico-affettiva

NON UN ARCHIVIO (poiché le mappe sentimentali non sono classificabili) e nemmeno un album di cimeli, ma un arcipelago strettamente legato da visibilissimi fili, o addirittura da colle che non mollano la presa e incorniciano volti e cronache (dagli amori smarriti, vuoti di desiderio a quelli intensamente vissuti, come nel caso dei suoi stessi genitori).
La mostra Elementi di cosmografia amorosa, appena inauguratasi presso la Casa della Memoria e della Storia di Roma (fino al 13 marzo, a cura di Manuela De Leonardis, catalogo Textus edizioni, con il saggio della curatrice, un intervento poetico di Guendalina Di Sabatino e uno scritto di Filippo Panzavolta) racconta quel riapparire di ricordi sommersi, facendo srotolare sulla superficie di un’acqua evaporata, tramutatasi in terra fertile, rocchetti avvolti nel filo rosso dei legami di sangue.

QUESTA VOLTA, il «giardino dei destini incrociati» che allestisce Contestabile chiama in causa come co-protagonisti lo zio don Odo, un giusto che salvò molti ebrei e il padre, che ereditò una macchina fotografica durante la guerra d’Africa, finendo per creare quella «cosmografia» riferita nel titolo attraverso la ritrattistica degli abitanti del paese che si trova vicino L’Aquila.
In mostra, si affastellano oggetti – libri, breviari, negativi da sviluppare, una valigia dello sradicamento, quello che tanti abruzzesi hanno sperimentato come una maledizione lungo l’arco di tutto il Novecento fino al terremoto del terzo millennio che costrinse ancora le famiglie ad emigrare – in mezzo a sparse memorie private e collettive. L’artista le tesse insieme, ricollega ciò che è slabbrato dal tempo, riconsegna una identità fisica a volti sbiaditi. Ricama su antiche stoffe di corredi nuziali i cognomi di ogni «dinastia» che abitava a Ortucchio, creando così il suo avamposto di resistenza all’oblio.

LEA CONTESTABILE elabora gli scatti paterni permettendo ai corpi di trasformarsi in revenants: sono velati da garze tenute con spille da balia, a testimoniare la fragilità delle relazioni umane e degli «amorosi sensi» (i soggetti sono spose imbronciate se non spaventate, solo una sorride). Poi, affida alla madre quasi centenaria la reinvenzione all’uncinetto di una foto di coppia (lei e il marito da giovani) e lo sdoppiamento della foto «salva» i protagonisti dall’inghiottimento, li lascia esposti «alla luce» (il bianco e nero dell’immagine si fa di un candore accecante nell’opera materna). Come malinconicamente scriveva Barthes – anche se qui non è la foto al centro del discorso ma la sua restituzione in sagoma ricamata -, la negatività dell’esistenza viene sconfitta e bloccata. Quel non esserci più si rivitalizza, diviene evento mobile e non immobile, esorcizzando la scomparsa.
Infine, tra le tante storie che si intrecciano alla Casa della Memoria, c’è quella di don Odo, zio dell’artista e monaco benedettino che dal monastero di Santa Maria del Monte a Cesena, negli anni Quaranta, coordinava le operazioni necessarie alla fuga in Svizzera di famiglie ebraiche, come i Lehrer. Di loro vediamo solo le sagome di spalle di due bambine, saldamente cucite sulla stoffa di lino. I Lehder possono portare solo un bagaglio con loro, come raccomanda don Odo nel riferire le direttive dei contrabbandieri. Una valigia in cui serrare una intera vita.