Anche il Costa Rica va alle urne domani per eleggere un nuovo presidente. Per la prima volta in settant’anni, a dirigere il paese centroamericano potrebbe essere un presidente dichiaratamente di sinistra, José Maria Villalta: un giovane avvocato di 34 anni, deputato all’Assemblea legislativa, abile comunicatore, ex leader studentesco.
Corre per una nuova coalizione di sinistra, il Frente Amplio, che in parte si richiama anche al Partito comunista, fondato nel ’31. Una delle più recenti inchieste pubblicata da La Nacion – proprietà di uno dei gruppi economici più potenti del Centroamerica – gli ha attribuito il 22% nelle intenzioni di voto, rispetto al 19% di Johnny Araya, candidato governativo del Partido de Liberacion Nacional (Pln) e al 19% del rappresentante di estrema destra, Otto Guevara.
Villalta potrebbe quindi andare al secondo turno e raccogliere parte dei voti del Partido Accion Ciudadana (Pac), seconda forza politica in parlamento ma poi passata all’opposizione del Pln, e quelli della Unidad Socialcristiana (Pusc). Per conquistare gli indecisi (circa il 30%), l’avvocato e il Frente – che non dispongono di risorse e finanziamenti – hanno condotto una campagna elettorale casa per casa, fidando sull’impegno dei militanti e sulla crisi di rappresentanza delle destre.
Il Pln ha portato a capo dello stato Laura Chinchilla (la prima donna presidente del paese), ora a fine mandato. I suoi programmi neoliberisti (modello blairiano) e gli scontri di potere all’interno del suo partito, hanno però portato ai minimi storici la sua popolarità.Dal 2010, disoccupazione, disuguaglianza e forbice tra ricchi e poveri hanno raggiunto il picco massimo da un quarto di secolo, connotando il periodo come il più diseguale degli ultimi 26 anni. Una crisi di cui il Frente cerca di approfittare opponendo un programma di governo articolato intorno alla lotta alla povertà e alla corruzione, al recupero del pubblico e al governo delle risorse.
Il nuovo presidente del Costa Rica dovrà anche far fronte a un deficit pubblico che a fine 2013 era il 5,4% del Pil (e potrebbe arrivare al 6% nel 2014) e alla storica assenza di infrastrutture. L’estrema destra rappresentata da Guevara promette di eliminare ogni ostacolo agli investimenti esteri e le tasse alle grandi imprese: ovvero un pieno ritorno alla «repubblica delle banane» dei tempi della United Fruit e al consenso di Washington.
Villalta è d’accordo sulla necessità di una riforma tributaria, ma sostiene che «i ricchi debbano contribuire un po’ di più» e la pressione fiscale sulle fasce più deboli debba invece essere ridotta e si debbano incrementate le misure sociali.
Sulle questioni internazionali, il Frente Amplio ha posizioni consonanti a quelle dei paesi progressisti dell’America latina, che hanno respinto i diktat del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, rinegoziando il debito.
Qualche giorno fa, all’Avana, il Costa Rica ha assunto la presidenza pro-tempore della Comunità degli stati latinoamericani e caraibici (Celac), succedendo a Cuba. Chinchilla, ostentando il ruolo di capofila del suo paese nei diritti umani, ha scelto di incontrare anche i dissidenti cubani, e ha tenuto a precisare che non considera il ruolo della Celac antagonista o sostitutivo a quello dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), che invece i paesi socialisti vorrebbero abolire perché subalterna agli Usa.
In diverse occasioni, Villalta ha invece reso omaggio alla figura del defunto presidente venezuelano Chávez, principale artefice insieme a Fidel Castro di un orientamento sovrano e solidale nella regione. Tuttavia, per tenere insieme anche il fronte più moderato che lo appoggia e che lo accusa di essere «bolivariano», Villalta ha dichiarato che nel Frente Amplio vi sono sì i comunisti, ma che essi non ne definiscono l’orientamento generale.
Un altro grosso scoglio, per la sinistra, è rappresentato dal conservatorismo delle chiese, evangeliche e cattoliche, che hanno spinto la campagna elettorale all’insegna della lotta all’aborto e ai diritti di gay, lesbiche e transessuali.L’unico a dichiararsi a favore dello stato laico è stato il nuovo arcivescovo della capitale, appena nominato dal papa Francesco.