È una profonda incertezza a dominare la vigilia delle elezioni generali che si terranno domani in Costa Rica. L’unico dato che sembra sicuro è che nessuno dei 25 candidati in corsa per la presidenza – un record nella storia del paese – supererà la soglia del 40% indispensabile per vincere al primo turno.

PER IL RESTO, dopo una campagna elettorale dominata in buona parte dal tema della contestatissima riforma fiscale approvata dal governo – nel quadro dell’accordo raggiunto con il Fondo Monetario Internazionale per un prestito di 1.75 miliardi di dollari -, non è facile prevedere neppure chi tra loro arriverà al ballottaggio.
In prima fila, stando ai sondaggi, sembrano essere in tre: Fabricio Alvarado del Partido Nueva República, José Figueres Olsen del Partido de Liberación nacional e Lineth Saborío Chaverri del Partido Unidad social cristiana, con percentuali altalenanti ma sempre al di sotto del 25%, rispetto a oltre il 30% di indecisi.
E in controtendenza con il riscatto delle forze progressiste registrato negli ultimi processi elettorali in America latina, nessuno dei favoriti è riconducibile a partiti di sinistra o di centro-sinistra. Giacché non sembra avere molte chance il rappresentante del Frente Amplio José María Villalta, accreditato dai sondaggi di una percentuale di voti oscillante tra il 5% e l’8%, malgrado il suo programma sia senz’altro il più avanzato riguardo ai temi della sicurezza sociale, del lavoro, dell’ambiente, della lotta alla corruzione, della questione di genere.
Fra tutti, il maggiore pericolo è forse rappresentato da Fabricio Alvarado, al suo secondo tentativo di conquista della presidenza, dopo quello fallito di quattro anni fa, quando al ballottaggio era stato sconfitto da Carlos Alvarado del Pac (Partido Acción ciudadana), la forza moderata che, nel 2014, aveva messo fine all’egemonia dei due partiti tradizionali (il Partido de Liberación nacional e il Partido Unidad social cristiana, tornati oggi prepotentemente in corsa per la presidenza).

ALL’EPOCA, malgrado il diffuso scontento nei confronti del governo del Pac, incapace di generare alcun effettivo cambiamento in termini di politiche neoliberiste ed estrattiviste, l’alternativa rappresentata dall’altro Alvarado, Fabricio, già predicatore evangelico e cantante di musica cristiana, aveva fatto ancora più paura, considerando la sua ferrea opposizione al matrimonio omosessuale, all’educazione sessuale laica impartita nelle scuole, all’aborto, a tutto ciò che suonasse come questione di genere – in una parola allo Stato laico -, al punto da evocare la possibilità di ritirare il Costa Rica dalla Corte interamericana per i diritti umani.
Quattro anni dopo, si è distinto in campagna elettorale per i suoi attacchi in stile maccartista a José María Villalta, da lui accusato di voler trascinare il Costa Rica sullo stesso cammino di Cuba, del Venezuela e del Nicaragua: spauracchi sempre utili al momento del voto. Come se il popolo del Costa Rica – gli ha risposto Villalta – non meriti di meglio che «parlare di quello che avviene in altri paesi», anziché dei «grandi problemi» esistenti a livello nazionale.

MA NEPPURE José Figueres Olsen, già presidente tra il 1994 e il 1998, suscita alcuna speranza di cambiamento. Tanto più che su di lui pesano svariate ombre, a cominciare da quella di aver ricevuto, nel 2004, una tangente di 900mila euro proveniente dalla compagnia francese Alcatel.
Come pure non esprime alcuna novità l’avvocata Lineth Saborío Chaverri, già vicepresidente nel governo di Abel Pacheco tra il 2002 e il 2006 e sostenitrice nel 2018 della candidatura di Fabricio Alvarado.