La «mappa» dei prossimi giorni è già pronta: domani Cgil, Cisl e Uil porteranno in corteo – sotto qualcosa come 40 gradi all’ombra – circa 100 mila tra metalmeccanici, pubblici, pensionati, lavoratori dei servizi, precari. Una San Giovanni inedita da almeno 10 anni, visto che da tempo la storica piazza non vedeva insieme i tre confederali. È già questa, in qualche modo, una notizia. Ma non finisce qui: lunedì i tre leader sindacali, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti sono convocati per un vertice a palazzo Chigi, avendo intenzione il governo di varare – già martedì – il decreto sul lavoro.

Quello che conterrà gli incentivi alle assunzioni e la nuova normativa sui contratti a termine.
Una «road map» che non prevede forti traumi, anche se presentando ieri la manifestazione ai giornalisti, la segretaria generale della Cgil si è lasciata scappare qualche critica nei confronti dell’esecutivo guidato da Enrico Letta. In particolare, Camusso vede tracce di «continuismo» con il passato governo Monti: «Non si può dire che siamo nella stessa condizione in cui eravamo con il governo Monti – ha detto ieri a Radio Popolare – abbiamo avuto modo di incontrare Letta, ci sono incontri al ministero del Welfare. Non c’è la pregiudiziale, ma mi sembra manchi la traduzione in pratica, in scelte coerenti di ciò che è emerso da questi incontri. Pensiamo che il ministro del Welfare non ascolti ciò che gli stiamo dicendo, che senta un po’ troppo le sirene del continuismo».

Quello che preoccupa maggiormente la Cgil, è che il nuovo «pacchetto» di norme in arrivo da un lato aumenti la precarietà (estendendo l’ambito di applicazione della regola, già in vigore, di non apporre causali ai contratti a termine) e dall’altro i rischi per la sicurezza sul lavoro (è ugualmente in programma una serie di norme che eviteranno procedure cautelari nell’ottica della «semplificazione»).
«L’allungamento dei tempi fra un contratto e l’altro non produce una dissuasione dei contratti a termine – spiega la segretaria Cgil – Noi abbiamo detto al ministro del Welfare che non va bene la proposta sulla causalità, cioe’ la motivazione specifica per cui viene fatto un contratto a termine». E ancora, sul ddl semplificazioni: «Da giorni abbiamo espresso preoccupazione e abbiamo chiesto un incontro al governo. Nelle bozze girate in questi giorni abbiamo visto troppe norme che invece di alleggerire il carico burocratico rischiano di semplificare i doveri di chi dovrebbe garantire sicurezza sul lavoro». Infine, la Cgil – e insieme anche Cisl e Uil – chiedono di riequilibrare il fisco favorendo le fasce più deboli – pensionati e lavoratori – caricando di più le rendite e gli alti patrimoni.

Passando dalle critiche ai contenuti del «pacchetto Giovannini», va detto che il governo starebbe concentrando le poche risorse che ha più sulle nuove assunzioni e per gli under 30 che sulla stabilizzazione a tempo indeterminato di chi ha già un’occupazione. E, ugualmente, la norma sui contratti a termine potrebbe essere liberalizzata maggiormente proprio per la fascia degli under 30.
Il provvedimento dell’esecutivo dovrebbe prevedere incentivi molto mirati e probabilmente meno generosi di quelli previsti dal governo Monti (erano stati circa 232 milioni, con il risultato di 24.581 nuove assunzioni e stabilizzazioni, di cui il 93,5% stabilizzazioni).

Le risorse si ricaverebbero dal miliardo previsto dai fondi strutturali Ue. È possibile che l’incentivo possa anche arrivare al livello di quello del governo Monti (circa 10 mila euro di sgravi per ogni assunto/stabilizzato in media). Sui contratti a termine, appare ormai scontato che verrà ridotta la pausa tra un contratto e l’altro (non più 60-90 giorni, ma 10-20 giorni). Resta probabile anche l’eliminazione della causale per gli under 30 per il triennio dei contratti a termine, mentre appare tramontata la possibilità che si allunghi la durata di questi rapporti di lavoro oltre i 36 mesi.

Domani in piazza:

La protesta degli over 50

In una piazza sindacale che si rispetti non possono certo mancare i pensionati. Che, come si sa, rappresentano peraltro – ad esempio nella Cgil – un numero di tessere pari per entità a quello dei lavoratori attivi. «I pensionati saranno ancora una volta in piazza insieme ai lavoratori per rivendicare lavoro e un welfare basato sulla giustizia sociale», ha annunciato la segretaria generale dello Spi Cgil, Carla Cantone. «Non si tratta solo di una questione di solidarietà, che pure è importante – ha spiegato Cantone – Gli anziani e i pensionati sanno bene che l’emergenza di questo paese è quella occupazionale, soprattutto per le giovani generazioni e per i tanti lavoratori e le tante lavoratrici che hanno perso il posto. Per questo lo Spi continua a sostenere che occorre oggi più che mai una grande alleanza tra giovani e anziani e tra attivi e pensionati». Per quanto riguarda le richieste specifiche dei pensionati, da tempo inascoltate, si chiede la rivalutazione per gli assegni medio-bassi, risorse per il fondo dei non autosufficienti, più investimenti e qualità nel welfare.

Il lavoro pubblico combatte per i contratti

In Piazza San Giovanni scenderà certamente anche una folta delegazione di lavoratori del pubblico impiego, i cui contratti sono bloccati ormai dal 2010 e per i quali il governo intende prolungare il «congelamento» fino a tutto il 2014. Un disastro, per buste paga già basse e molto provate dal costo della vita. Ieri una nota congiunta dei segretari di categoria di Cgil, Cisl e Uil ha espresso la propria contrarietà al parere espresso dalle commissioni Lavoro e Affari costituzionali della Camera, che pur sollecitando il governo a una trattativa, comunque hanno definito condivisibile il blocco. «In primo luogo – dicono i sindacati – il parere definisce non ipotizzabile un ulteriore allungamento temporale del blocco oltre il 2014. Le commissioni parlamentari, e questa ci sembra la parte più interessante del pronunciamento, impegnano il governo a riprendere subito la contrattazione collettiva. L’esecutivo riapra subito il tavolo sui contratti: i lavoratori pubblici hanno diritto a un rinnovo del contratto di lavoro, tanto della sua parte normativa quanto di quella economica».

I meccanici chiedono una politica industriale

Travolti dalla crisi e sorretti da una valanga di ore di cassa integrazione, i metalmeccanici italiani sembrano attraversare una delle bufere più pesanti della loro storia. E con loro tutta la manifattura, dagli edili al chimico, dal legno alle ceramiche. Tutto ciò che è «made in Italy» sembra maledetto, eppure siamo sempre la seconda potenza manifatturiera d’Europa. E allora? I sindacati chiedono una «politica industriale»: l’acciaio ad esempio, provato dalla crisi dei poli di Piombino, di Terni, dell’Ilva, è un importante pezzo del Pil italiano. E se l’ambiente e la salute devono sempre essere messi al primo posto, prima degli interessi di imprese e sindacati, è anche vero che non si può mollare un comparto così importante. Ma in questi giorni si mobilitano anche realtà importanti come l’Alcoa (alluminio, nel Sulcis) o i pezzi di Finmeccanica che il gigante dell’avioindustria vuole dismettere. Con una proposta di Maurizio Landini, segretario della Fiom: il governo potrebbe indurre i fondi pensione privati, che oggi investono il 70% dei loro 100 miliardi di patrimonio all’estero, a dedicarsi di più a titoli e azioni italiani.