Un po’ d’Austria nella repressione in Bielorussia. Un po’ d’Austria guidata dal governo nero-verde di Sebastian Kurz e degli “ecologisti” di Werner Kogler nella repressione in Bielorussia.

Quel che è avvenuto nel paese dell’Europa Orientale è fin troppo noto, ci vogliono poche righe per riassumerlo: nell’estate scorsa, il sempiterno Lukashenko annunciò di aver stravinto per l’ennesima volta le elezioni con una percentuale che superava l’80 per cento. La stessa della sua prima elezione nel ’94. Non gli credette nessuno, ovviamente. E a Minsk si riversano migliaia di persone, contestando le frodi elettorali. L’intervento della polizia fu durissimo ed è stato sempre più duro nei mesi successivi, tanto che ancora oggi non si conosce con esattezza il numero dei morti, né con precisione il numero degli arrestati, comunque migliaia.

Tutto questo è risaputo. Così come è altrettanto noto che per provare a mettere il bavaglio alle proteste, il governo bielorusso ha silenziato la rete. Completamente imbavagliata. Per impedire che i manifestanti comunicassero fra loro, per impedire che le immagini della repressione arrivassero oltre confine. E’ tutto documentato.

La novità, la brutta novità è venuta fuori poco tempo fa. E racconta che l’Austria in qualche modo è stata in prima fila nell’operazione che ha portato a silenziare le proteste.

Sì, perché in Bielorussia la rete è quasi tutta gestita da A1 Telekom Austria. Fornisce connessione, tecnologia, infrastrutture. Tutto. E’ in una posizione che si può definire (quasi) monopolista. E la A1 è controllata dallo Stato austriaco, visto che quasi il trenta per cento del suo pacchetto azionario (il 28 e qualcosa ad essere precisi) è detenuto dalla ÖBAG. Che è una holding federale pubblica, nata pochi anni fa e che dovrebbe occuparsi “di investimenti responsabili orientati alla creazione di valore sostenibile”.

Missione imprenditoriale che sembra decisamente fallita in Bielorussia. Già a novembre dell’anno scorso, davanti allo shutdown, al blocco totale di Internet, la “A1” fu accusata di scarsa attenzione verso i diritti umani. Com’era possibile che un gestore non sapesse del tentativo di censura?

Le prime risposte furono piuttosto imbarazzate: non c’entriamo nulla.

Repressione delle proteste in Bielorussia nel 2020, foto Ap

 

La cosa però non è finita lì. L’Edri – uno dei gruppi più battaglieri a difesa dei diritti digitali – d’intesa con una equipe diretta dal professor Kavé Salamatian dell’Università della Savoia ha svolto un’accuratissima indagine. Ed ha svelato gli altarini.

Ha scoperto che la rete bielorussa ha un sistema di controllo e spionaggio sofisticatissimo. Piuttosto raro e costoso. Che è una “combinazione” – così la definisce lo studio – fra le modifiche al “routing” (cioè l’”istradamento” per decidere dove inviare le comunicazioni) e il Dpi (il Deep Packet Inspection che permette di scandagliare e controllare l’intero traffico dati). “Metodi molto avanzati che mettono la Bielorussia in un breve elenco di paesi che possono esercitare un controllo dettagliatissimo sulla connessione Internet dei propri cittadini”, per dirla ancora col professore Kavé Salamatian.

Strumenti che sembrano impossibili da abilitare senza il consenso, addirittura la collaborazione di “A1”. Le domande così si sono fatte più incalzanti: perché un’azienda pubblica di un paese europeo cede il controllo della sua rete a un tale governo?.

Le risposte sono state ancora più imbarazzanti. Il gruppo austriaco ha replicato che non si è prestato ad alcuna censura e che anzi non c’è stato nessuno shutdown in Bielorussia ma al più si è trattato di un “rallentamento” nella connessione.

Troppo poco e troppo falso. Così, qualche settimana fa, un gruppo di attivisti austriaci – si fanno chiamare epicenter.works – è andato a manifestare sotto la sede della Telekom a Vienna. E a quel punto “A1” ha dovuto parlare esplicitamente. Raccontando la verità: che cioè si è dovuta adeguare “al quadro normativo esistente” in quel paese.

Lo ha fatto in un comunicato stampa, accompagnato da pesanti giudizi sulla ong Epicenter Works, che però non sono riusciti a nascondere il dato di fatto: il gruppo pubblico austriaco ha dato una mano, una grossa mano alla repressione di Lukashenko. Cedendo alle sue richieste, accettando il suo “quadro normativo”. Le sue leggi, i suoi diktat.

L’Edri ora chiede che la compagnia austriaca interrompa immediatamente le sue operazioni in Bielorussia. E chiede che il governo nero-verde se ne occupi. Altrimenti le parole di Kurtz sul rispetto dei diritti umani a Minsk suonerebbero ancora più ipocrite.