Con Io, un manoscritto  – L’Antologia Palatina si racconta (Carocci, pp. 175, € 14,00), il filologo classico Simone Beta ha dato forma compiuta al desiderio più alto di ogni specialista: portare le proprie competenze specifiche al di fuori dell’ambito strettamente disciplinare, verso un pubblico più ampio e vario.

Il manoscritto dell’Antologia Palatina con un atto imperiosamente autoriale prende la parola («Sono nato a Costantinopoli intorno al 950 d.C.») e rievoca le vicissitudini incontrate nell’arco di tempo che va dalla prima organizzazione del materiale epigrammatico che ne costituisce il testo, operata dal greco Costantino Cefala, alla fuga da Costantinopoli alla vigilia dell’espugnazione da parte dei turchi dopo assedio lungo e penoso, fino alla lacerazione che porta le due parti dell’Antologia a seguire rotte diverse, diversamente avventurose, e infine all’approdo sicuro, nelle rade luccicanti della biblioteca di Heidelberg e della Biliothèque nationale de France. Dunque l’espediente narrativo di Beta ripete quello messo in atto da molti degli epigrammi. Ad esempio: «Io sono la coppa di Nestore, che rende facile il bere», oppure «Questa è la tomba dell’indovino Megistia, / che i Persiani misero a morte».

L’elegante volumetto mette in condizione lo studente e ogni buon lettore di entrare con cognizione di causa negli spazi della filologia, una scienza che ha legami di sangue con la storia, la religione, la geografia, l’arte tipografica, la politica e molto altro.

L’uso della prima persona vivacizza la ricostruzione delle peripezie che portano la più celebre raccolta di epigrammi ad attraversare terre e mari in condizione di estrema debolezza e vulnerabilità. Talvolta la sua sorte dipende dalla capacità di passare inosservata, come quando lasciata Costantinopoli riesce a salvarsi perché non cade nelle mani di musulmani che conoscono il greco e dunque sfugge il significato delle preghiere cristiane in essa contenute. Com’è noto, l’Antologia contiene preghiere cristiane e pagane, descrizioni, indovinelli, sentenze morali, esortazioni all’eros (anche omosessuale) e al vino, peraltro oggetto di un altro lavoro di Beta (con Luca Della Bianca, Il dono di Dioniso. Il vino nella letteratura e nel mito in Grecia e a Roma), che non perde occasione per riferire notizie circostanziate sul mondo affascinante e complesso della filologia, di cui illustra via via i termini tecnici e gli aspetti più singolari e problematici. L’intento naturalmente è quello incuriosire anche i non esperti e raccontare il ‘passato’ quasi epico di quello che è diventato uno dei testi più canonici della letteratura greca: come Enea, esso fugge da una città caduta dopo lungo assedio nelle mani dei nemici e come lui deve conquistarsi una nuova terra sulla quale mettere radici e tornare a vivere e a procreare.

L’antropomorfizzazione del testo comprende una definizione genealogica. L’Antologia parla di Cefala come di un ‘nonno’ e dei monaci bizantini come di ‘padri’, mentre nipoti sono quei testi che dal manoscritto prendono origine. Oltre a legare l’attenzione del lettore alle traversie di un’opera rappresentata nei termini di un fanciullo indifeso, l’espediente rende più percepibile un fatto di palmare evidenza: i testi sono imparentati tra di loro e il ‘sangue’ del loro inchiostro fluisce con maggiore o minore evidenza dall’uno all’altro, ma anche che la loro vita è esposta a pericoli talora mortali. Se l’Antologia palatina fosse stata ‘uccisa’ nel corso delle sue mille avventure, non solamente la sua vita avrebbe avuto fine, ma non avrebbe mai visto la luce nessuna delle numerose opere che essa ha ispirato. Come la scoperta del manoscritto di Lucrezio, da parte di Poggio Bracciolini, cambiò la storia della cultura europea (e Stephen Greenblatt ce ne ha raccontato le vicende), anche questo ha vissuto nascosto per molto tempo, ma ora è facilmente accessibile a chiunque (il testo è stato digitalizzato).

Nel corso delle sue peregrinazioni l’Antologia viene funestata da due eventi che sarebbero quasi fatali anche per un essere umano: la perdita dell’identità, cioè della segnatura, il numero che contrassegna l’opera all’interno di una biblioteca, e la lacerazione, la spaccatura del manoscritto in due parti. Questo libro ne ricompone e reintegra la storia e dunque l’identità, che come ogni identità è l’esito di un discorso, ovvero ragionata esplorazione e ricognizione di frammenti diversi e disordinati.