Ridurre gli sprechi alimentari è possibile purché al cibo si riconosca il suo valore. In un’ottica di economia circolare, esistono buone pratiche, cioè esperienze replicabili e adattabili, qualcuna perfino for profit, mirate a prevenire l’accumulo di eccedenze e a riutilizzare cibo perfettamente commestibile, dal campo alla tavola (da leggere tenendo a mente che solo il 9% delle eccedenze di cibo viene in qualche modo recuperato e il 91% se ne va in discarica).

AGRICOLTURA. Se le ragioni per cui si formano le eccedenze in agricoltura sono in parte imprevedibili (crisi di sovraproduzione, prezzi in picchiata, eventi atmosferici), esistono precisi motivi di mercato sui quali agire. Secondo il prof. Luca Falasconi, di Last Minute Market, «aumentare il peso contrattuale degli agricoltori nei confronti della grande distribuzione potrebbe essere una misura per prevenire gli sprechi, così come creare una domanda per prodotti esteticamente non perfetti. La frutta dello stesso calibro che vediamo al supermercato ha come contropartita enormi volumi di altra frutta di dimensioni e forme diverse, con piccole ma insignificanti imperfezioni, che deve trovare altri sbocchi, e non sempre è possibile. Quindi, se è davvero complicato prevenire, in agricoltura ha maggior senso recuperare». Come? In Inghilterra dal 2012 la campagna Gleaning Network porta in campagna ogni anno circa 4000 volontari, dopo averli opportunamente formati, a raccogliere le eccedenze nei frutteti e nei campi (una volta si chiamava spigolatura): siamo nell’ordine di 400 tonnellate recuperate ogni anno e trasferite all’associazione FoodCycle che cucina, trasforma e distribuisce a chi ne ha bisogno. A Vienna, città che vanta all’interno del suo perimetro ben 900 aziende agricole, l’azienda Iss Mich (mangiami) raccoglie ogni mese una tonnellata di verdura invenduta delle aziende biologiche e la trasforma in zuppe e stufati che poi consegna (in bicicletta) in vasi di vetro. Da qualche mese Iss Mich produce birra a partire da pane biologico invenduto recuperato nelle panetterie.

PESCA. A Mazara del Vallo, un accordo tra Banco Alimentare, Guardia Costiera e Asl permette di recuperare parte del pesce sequestrato ai pescherecci (300 tonnellate all’anno) perché fuori misura, perché non può essere pescato in quella stagione, e anche parte del pesce che non si vende perché non ha mercato. «Tra maggio e dicembre siamo riusciti a recuperare 15 tonnellate di pesce in 4 porti siciliani – dice Andrea Giussani, presidente di Banco Alimentare – un risultato per nulla scontato perché non è stato facile individuare soggetti in grado di lavorare e distribuire il pesce con la giusta tempistica. Considerato l’alto valore nutritivo di un alimento come il pesce, ci sembra un risultato incoraggiante che contiamo di replicare altrove».

INDUSTRIA ALIMENTARE. L’industria alimentare è il settore più virtuoso della catena alimentare quanto a sprechi di cibo, che sono dell’ordine del 3% del totale degli sprechi, secondo Federalimentare, mentre solo il 55,3% delle eccedenze viene recuperato. Tra le best practise monitorate dell’Osservatorio Food Sustainability del Politecnico di Milano c’è un progetto di Bolton Food con Banco Alimentare della Lombardia mirato a recuperare gli sfridi di lavorazione delle verdure che vengono insacchettate in pacchetti misti di alimenti e quindi distribuite attraverso i volontari del Banco. «Il recupero degli scarti delle verdure è possibile grazie a un’azione di formazione dei dipendenti – ci spiega la prof. Giulia Bartezzaghi, che coordina l’Osservatorio – da un’analisi di questo caso specifico sappiamo che il valore della merce recuperata è 3 volte il costo del processo. L’azienda inoltre risparmia sullo smaltimento».

COMMERCIO. Le eccedenze nel settore del commercio cominciano a formarsi nei mercati generali: tanto per avere un’idea, nel Caab di Bologna, pioniere del recupero in Italia (è qui che è nato il Last Minute Market), ogni anno vengono recuperate 500 tonnellate di frutta e verdura, più di 1,5 tonnellate per giorno lavorativo, per qualche motivo non buona per il mercato ma abbastanza buona per chi ne ha bisogno. A Milano dal mercato generale della Sogemi (il più grande d’Italia) ogni giorno dai 20 ai 30 pancali di merce fresca finiscono al magazzino del Banco Alimentare di Muggiò per essere distribuiti a onlus. Al mercato ortofrutticolo di Roma, Frutta che frutta è un progetto pilota per trasferire l’invenduto e trasformarlo in succhi in un laboratorio posto all’interno del mercato stesso.

Una volta arrivato nei supermercati, il cibo, fresco o confezionato che non può stare sullo scaffale (perché troppo vicino alla data «da consumarsi preferibilmente entro», perché la confezione è ammaccata, ecc), il più delle volte finisce nel cassonetto: qui il tasso di recupero è del 10%.

Per disfarsi delle eccedenze, in Norvegia il 92% dei supermercati hanno un’area dedicata ai cibi in scadenza venduti a metà prezzo, mentre metà dei supermercati dichiara di non donare alle onlus perché non ha eccedenze. Sarebbe un risultato eccezionale, un vero primato, se non ché indagini approfondite (nei cassonetti e presso fonti interne ai supermercati) hanno svelato che molto cibo invenduto viene buttato perché diverse aziende non gradiscono che i loro prodotti vengano offerti a prezzi stracciati e quindi associati a merce low-cost. Risultato dell’indagine, pubblicata sul sito refreshcoe.eu, un progetto di ricerca Horizon 2020 finanziato dalle UE, è che serve maggiore trasparenza: l’obbligo di dichiarare gli sprechi di cibo da parte di aziende e supermercati sarebbe un buon inizio.

RISTORAZIONE & CATERING. Recuperare il cibo cucinato e avanzato della ristorazione collettiva è una sfida logistica. A Milano il progetto Smart City Food Sharing (ovvero, la città intelligente condivide il cibo) di cui sono partner Politecnico, Comune, Assolombarda, Banco Alimentare Lombardia, Fondazione Cariplo, ha preso il via nelle scorse settimane dopo 3 anni di lavoro e messa a punto sulla base di un protocollo firmato durante Expo 2015. In via sperimentale nei municipi 8 e 9 della città, un furgone passa nelle mense aziendali a recuperare gli avanzi di cucina e li distribuisce a una serie di onlus grandi e piccole che a loro volta sono in grado di offrire pasti completi a persone bisognose. Il furgone recupera anche eccedenze di supermercati, cibo che ha vita un po’ più lunga e che viene stoccato in un magazzino in via Borsieri, messo a disposizione dal Comune e distribuito. Una volta a regime, il progetto verrà esteso anche alle mense ospedaliere e l’intenzione è quella di replicarlo in altri quartieri.

I surplus di cibo delle pantagrueliche cucine delle navi di Costa crociere vengono surgelati oppure sigillati in contenitori e ad ogni sbarco nei porti di Savona, Civitavecchia, Bari, Palermo, Barcellona e Marsiglia vengono recuperati dai volontari del Banco Alimentare. «Si tratta di circa 100-150 kg di cibo per ogni sbarco, di valore elevato per chi lo riceve – spiega Giussani – mi piace sottolineare come questa modalità di recupero abbia motivato il personale di cucina delle navi a trattare e conservare meglio gli avanzi: si tratta perlopiù di persone che vengono da paesi dove il cibo non è mai abbondante, che riconoscono al cibo un valore intrinseco e sono contenti di non doverlo buttare via».

NELLE CASE. I luoghi dove lo spreco è più consistente e dove è più difficile agire sono i nostri frigoriferi, le nostre dispense. Il 43% degli sprechi alimentari italiani si origina nelle case, secondo gli studi del Politecnico di Milano. Ma non tutte le case sono uguali: da studi francesi sappiamo che nelle grandi città i privati sprecano il triplo del cibo rispetto a chi vive in campagna, mentre l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha calcolato che nei sistemi locali del cibo (filiere corte locali e solidali, vendita diretta) gli sprechi scendono al 5-10%, un valore quasi fisiologico.
Ad agire casa per casa per evitare una brutta fine ad alimenti ancora commestibili ci sta provando Hop Hop Food a Parigi, una piattaforma digitale costruita per mettere in contatto chi ha in casa cibo in eccedenza e chi è in difficoltà a procurarsi da mangiare. Da privato cittadino a privato cittadino. Non si tratta solo di una App, come ce ne sono tante, perché Hop Hop Food mette a disposizione in alcuni luoghi di Parigi dei contenitori dove chi dona può lasciare le sue eccedenze, e chi riceve può andarle a prendere, così non è necessario che le persone si incontrino fisicamente. «In 8 mesi la App è stata scaricata 16 mila volte, ogni giorno si registrano 200/300 scambi – ci spiega Jean Claude Mizzi, uno degli ideatori dell’iniziativa, tutta retta sul volontariato – per ora possiamo dire che sono di più le persone che cercano cibo di quelle disposte a donarlo. Questo non ci sorprende: se abbiamo creato Hop Hop Food è perché qui a Parigi vediamo ogni giorno persone che vanno a rovistare nei cassonetti per mangiare, mentre ciascun parigino butta in un anno 69 kg di cibo. Questo è intollerabile, e lo Stato non fa niente».