Un lavoratore che dice la verità merita il licenziamento? Il lavoro si crea tramite gli investimenti o abolendo l’art. 18? In un paese normale il Jobs Act crea lavoro vero e non cancella il diritto al reintegro per licenziamento senza giusta causa; altrimenti che Jobs Act è? Un paese normale (la Francia) viola il fiscal compact e investe: al massimo rischia una sanzione dello 0,3% del PIL. Un paese normale (la Polonia) spende bene i fondi UE in un piano per lo sviluppo che crei vera occupazione. Vediamo invece cosa accade in Italia.

Se un autista dice la verità su un autobus in panne deve essere sospeso?

Domenica 28 settembre, su Rai Tre, Presa Diretta ha mandato in onda un’intervista a due conducenti della TPL, il consorzio privato che gestisce una parte importante del trasporto pubblico della capitale e due giorni dopo i due intervistati hanno ricevuto dall’azienda una lettera di sospensione dal lavoro. Ma cos’avevano detto di così grave per meritarsi una sospensione dal lavoro?. Questo: «Se ce so’ delle perdite, è inutile che carica aria… non ce la fa… stiamo tutti i giorni così.. Sono vetture del 2000 neanche possono circolare». Valentino Tomasone, come testimone, mostrava un autobus che a ogni inserimento di marcia scaricava l’aria compressa della vettura. «La Roma TPL Scarl avrebbe dovuto provvedere alla sostituzione totale del parco macchine secondo il contratto d’affidamento del comune…» aggiungeva Ilario Ilari. Alla domanda di Iacona «E l’ha fatto?» Ilari rispondeva: «Evidentemente no». Secondo l’interrogazione parlamentare al ministro Poletti dei senatori Barozzino e Cervellini (Sel) la sospensione dei due autisti è una «diffida» ai dipendenti dalla «diffusione di notizie sull’azienda», un limite alla libertà sindacale, alla libertà di espressione dei lavoratori e al diritto all’informazione degli utenti: ergo il governo dovrebbe intervenire e far annullare la sospensione di Ilario e Valentino. Questa è un’occasione per Renzi. Può dimostrare che nella sua Italia, se un lavoratore dice la verità merita un plauso.

[do action=”citazione”]Il premier chieda ufficialmente alla TPL di annullare la sospensione. L’incontro governo-sindacati di oggi dovrebbe partire da qui.[/do]

Basta Fiscal Compact, meglio rischiare 5 miliardi di sanzioni che tagliare 900 miliardi in venti anni

Ma non succederà, come non ci sarà il ravvedimento sul Fiscal Compact. Meglio rischiare 5 miliardi di sanzioni e varare un piano di sviluppo che tagliare 900 miliardi in venti anni.
«Noi rispettiamo il 3% ma rispettiamo anche le decisioni di un paese libero come la Francia» sostiene Renzi, riferendosi alla scelta francese di rinviare al 2017 il rispetto delle regole dell’austerità. La posizione italiana è politicamente debole e porta alla stagnazione. L’unica soluzione è non rispettare le regole dell’austerità invocando la recessione e poi ricontrattare i Trattati.

Vediamo schematicamente. Il Trattato di funzionamento della UE (TFUE) all’art.126 definisce eccessivo il disavanzo pubblico se:

  1. il rapporto tra deficit e PIL sfora il 3%;
  2. il rapporto debito/PIL supera il 60%.

Qual è la flessibilità invocata dal governo Renzi e non concessa dalla Merkel nei fatti? Secondo il Protocollo n. 12 allegato ai Trattati Europei (sulla procedura sui disavanzi eccessivi) il superamento del 3% è concesso se è eccezionale e temporaneo, oppure se è causato da un evento non controllabile dallo Stato Membro, ovvero se è causato da una grave recessione economica; oppure se il rapporto deficit/PIL sta diminuendo in modo sostanziale e continuo, avvicinandosi al 3%.

Il rapporto debito pubblico/PIL può superare il 60% se si riduce avvicinandosi con ritmo adeguato al valore di riferimento. E qui l’Italia ha il problema maggiore.

Purtroppo il Fiscal Compact (da gennaio 2013) ha rafforzato le «regole auree» dell’austerità. Il deficit strutturale di bilancio non deve superare lo 0,5% del PIL: solo per rispettare questo parametro il ministro Padoan dovrebbe trovare 15 miliardi (tagli o tasse). Salvo casi eccezionali è attivato automaticamente un meccanismo di correzione per lo stato che «sfora».

Per investire dunque si dovrebbero fare tre cose:

  1. abolire il pareggio di bilancio in Costituzione
  2. sforare il limite del 3% nel rapporto deficit/PIL
  3. ricontrattare i Trattati UE.

Se si fa questo, cosa si rischia? La sanzione più importante che Bruxelles potrebbe imporci è un deposito infruttifero presso la Banca Centrale Europea costituito in due parti: una fissa dello 0,2% del PIL, e una variabile, pari allo 0,1% del PIL per ogni punto (o frazione di punto) di sfondamento del 3%. Traduzione: se sforiamo al 4% dovremmo pagare meno di 5 miliardi.

Occorre aggiungere una considerazione importante. Il Fiscal Compact non è paragonabile a un mutuo su una casa. Se non paghiamo il mutuo sulla nostra abitazione arriva il pignoramento. Se non rispettiamo il Fiscal Compact, Bruxelles non può pignorarci il Colosseo.

La Francia, sapendo che Bruxelles non può pignorare la Torre Eiffel, sfora il 3% dal 2008 (Ecco il rapporto deficit/PIL francese degli ultimi 6 anni: 4,3% nel 2013, 4,9% nel 2012, 5,2% nel 2011, addirittura 7% nel 2010, ancora 7,5% nel 2009, 3,3% nel 2008). Ergo, meglio rischiare 5 miliardi di sanzione che tagliare 900 miliardi in venti anni per portare il rapporto Debito/PIL al 60%.

Ma sforare il debito per fare cosa?

Un piano per lo sviluppo e il lavoro con i fondi Ue. L’Italia ha 26 miliardi residui del ciclo 2007-2013 e 84 miliardi del ciclo 2014-2020 (includendo il cofinanziamento al 50%): di questo Renzi dovrebbe discutere con la Camusso oggi, con Merkel e Hollande domani. In cambio del voto a Juncker dovrebbe contrattare un «New Deal europeo». Per farlo sarebbe necessario un progetto sul capitalismo italiano. Nei tweet per ora non si è visto.

* Esperto Fondi Strutturali Europei