«Secondo me si dovrebbe evitare di fare sondaggi nelle ultime settimane della campagna elettorale, anche perché l’influenza che hanno sugli elettori non ha nulla a che fare con un contributo alla libera formazione di un’opinione». Difficile dare torto a Ines Pohl, direttrice del quotidiano-cooperativa die taz (nato sul modello de il manifesto), voce della sinistra alternativa tedesca: i sondaggi inquinano il dibattito politico. Eppure ci sono, e vengono ampiamente diffusi: impossibile ignorarli, se si vuole fare una valutazione delle forze in campo a otto giorni dal voto in Germania.

Direttrice Pohl, la Cdu di Angela Merkel sarà, secondo tutti i sondaggi, di gran lunga il primo partito. È merito suo o è colpa dell’opposizione?

I fattori principali mi sembrano due. Da un lato, l’assenza di una leadership nella Spd che possa contrastare credibilmente Merkel. Dall’altro, la situazione economica: in Germania fino ad ora le persone non sono colpite dagli effetti della crisi dei mercati finanziari. Ed è facile per la cancelliera attribuirsi questo risultato.

La Spd avrebbe fatto meglio a scegliere un altro candidato cancelliere al posto di Peer Steinbrück? Per esempio, come affermano in molti, la popolare governatrice del Nordreno-Westfalia Hannelore Kraft?

Anche se negli ultimi giorni i sondaggi di opinione registrano un miglioramento del gradimento di Steinbrück, penso che il candidato della Spd non sia riuscito a rendersi credibile come interprete di una politica davvero alternativa a quella di Merkel: è troppo difficile per lui scrollarsi di dosso l’immagine di uomo legato all’epoca di Gerhard Schröder e della sua politica di «riforme», la cosiddetta Agenda 2010. Hannelore Kraft è sicuramente un’ottima governatrice ma personalmente non credo che sia pronta per il salto nella politica federale.

Non rimangono molte altre personalità socialdemocratiche di rilievo…

Il grosso problema della Spd è proprio l’assenza di figure nuove. Il segretario del partito, Siegmar Gabriel, è certamente preparato e intelligente, ma su molti temi si è mostrato talmente volubile da risultare inadatto al ruolo di candidato cancelliere. La segretaria organizzativa, Andrea Nahles, non ha acquisito un profilo da leader. E altre persone nelle prime file non ci sono.

Anche i Verdi hanno un problema di rinnovamento del loro gruppo dirigente, mi sembra: Jürgen Trittin, il loro capolista insieme a Katrin Göring-Eckardt, è stato ministro già nei governi di Schröder (1998-2005)…

Sì, condivido. I Grünen hanno un elemento di forza che li contraddistingue: sono un partito di giovani e di donne. Ma con il duo che li guida in campagna elettorale, dominato dalla figura ingombrante di Trittin, questa potenzialità è sprecata.

Questo basta a spiegare come mai sembra che non riescano a sfondare oltre l’11% del 2009?

No. Se gli ecologisti vogliono ottenere dei risultati molto al di sopra della soglia del 10% allora non possono assumere la linea attuale, che li ha resi un partito a sinistra della Spd. Intendiamoci: io trovo che dal punto di vista dei contenuti sia corretto scegliere questa strada, rivendicando aumenti delle tasse per i più ricchi. Bisogna accettare, però, che ciò significa non raccogliere alti consensi fra gli elettori borghesi. Ora i Grünen stanno cercando di mettere in luce maggiormente le loro radici ambientaliste, ma credo che sia troppo tardi.

Come valuta le posizioni di Spd e Verdi sulle questioni europee? Mi riferisco in particolare alle scelte compiute al Bundestag sui cosiddetti pacchetti di aiuti alla Grecia: socialdemocratici ed ecologisti hanno sempre votato insieme alla maggioranza democristiano-liberale…

Se la Spd e i Verdi fossero stati al governo, credo onestamente che non avrebbero agito in maniera molto diversa da quella dell’esecutivo attuale: divergenze di fondo non ne vedo. Ciò che conta in primo luogo è sempre la messa in sicurezza del benessere qui in Germania. Senz’altro, tuttavia, esistono delle differenze di sensibilità: ad esempio le forze progressiste hanno capito molto prima la drammaticità della situazione sociale nei Paesi del Sud Europa e, probabilmente, avrebbero agito con maggiore celerità, senza temporeggiare come ha fatto Merkel.

A quanto pare, anche nel caso in cui Cdu–Csu e liberali della Fdp non dovessero conquistare la maggioranza assoluta, le possibilità che dopo il 22 settembre si formi una coalizione Spd-Verdi-Linke sono quasi nulle. Cosa impedisce, a suo giudizio, che ciò accada?

Da un lato, esistono settori della Spd che considerano impossibile allearsi con la Linke, soprattutto per la distanza che li separa dalla corrente che fa riferimento a Oskar Lafontaine. Dall’altro lato, pesano molto alcune posizioni dei social-comunisti, come la richiesta di uscire dalla Nato, che rendono molto difficile il dialogo. Le responsabilità sono condivise.

I Verdi potrebbero avere il ruolo dei «pontieri» fra i due partiti «rossi»?

Non credo. Anche perché ho l’impressione che siano interessati semmai ad un avvicinamento, in prospettiva, alla Cdu. Non certo in questa tornata elettorale, ma tra quattro anni vedo possibile il varo di una coalizione inedita di quel tipo: mi sembra molto più probabile di un’alleanza rosso-rosso-verde, perché fra le sinistre esistono fossati ideologici difficili da superare.

Allora, se è così, è quasi impossibile immaginare che in Germania possa prodursi un vero cambiamento strutturale, uno spostamento significativo degli equilibri politici e sociali a favore dei settori popolari…

Per quello che posso osservare ora, direi che è così: non credo che ci sia un clima in questo paese favorevole a cambiamenti di quel genere e portata. Ma tutto può succedere se fra due o tre anni la crisi dovesse cominciare a farsi sentire pesantemente anche qua. Per il momento, però, non dobbiamo perdere di vista il fatto che, sul piano economico, per la maggioranza dei tedeschi le cose vanno bene: il livello del loro benessere finora è stato mantenuto.