È trascorso un mese e mezzo di tempo tra lo smacco per il viaggio annullato di Barack Obama nel Sudest asiatico, causa blocco parziale delle attività dell’amministrazione Usa per il mancato accordo al congresso su tetto del debito, e l’arrivo nelle Filippine della portaerei George Washington per prestare soccorso alle vittime del tifone Haiyan. La missione Damayan, secondo molti osservatori servirà a mettere in buona luce la presenza militare Usa nella regione, nell’ambito di un rinnovato interesse strategico per l’Asia. «Disastri di questo genere non colpiscono soltanto le Filippine. È un segnale per tutto il Sudest asiatico e per l’Asia. Gli Stati Uniti fanno seriamente quando si tratta della loro presenza qui», ha spiegato l’analista politico Ramon Casiple all’Associated Press. All’inizio di novembre, tuttavia, prima che la furia di Yolanda, come è chiamato dai filippini, si abbattesse sull’arcipelago, Manila e Washington erano su posizioni distanti nei negoziati sull’aumento della presenza militare Usa nel Paese. I critici fanno leva sulla perdita della sovranità nazionale, ma dal voto del senato filippino che nel 1991 sanciva la chiusura delle basi statunitensi, compresa quella della baia di Subic, la più grande base navale fuori dai confini americani, sono trascorsi ventidue anni. Manila guarda da anni a Washington come un alleato nelle tensioni che la oppongono alla Cina nelle dispute nel Mar cinese meridionale. Come ricorda il Christian Science Monitor, la risposta statunitense ai disastri naturali ha già fatto da viatico alla ripresa dei rapporti con altri stati, sviluppandosi in un secondo tempo in una maggiore cooperazione militare.
Successe per lo tsunami del 2004 nell’Oceano indiano. Trascorsi due anni l’amministrazione Usa poneva fine all’embargo sulle armi imposto nel 1991 all’Indonesia in risposta alla repressione a Timor Est. Successe anche in Giappone dopo la triplice catastrofe del marzo 2011 -terremoto, maremoto, crisi nucleare di Fukushima- con giovamento per l’immagine delle truppe Usa, altrimenti legata ai casi di violenze di cui si sono macchiati i soldati di stanza sull’isola di Okinawa (nel 1995 l’episodio più grave: lo stupro di una dodicenne). Le proteste degli abitanti contro le servitù militari hanno preso di mira anche il dispiegamento sull’isola di velivoli a decollo verticale MV-22, la cui sicurezza in volo non è ancora stata provata.
A ottobre la visita in Giappone del segretario di Stato, John Kerry, e de suo collega alla Difesa, Chuck Hagel, ha riaffermato l’impegno a trasferire 5mila marine dalla base di Okinawa a Guam, cui Tokyo contribuirà con 3,1 milioni di dollari. È stata inoltre occasione per aggiornare l’alleanza alla luce delle dispute con Pechino e delle provocazioni nordcoreane. Spauracchio , quello di Pyongyang, che i nipponici condividono con i sudcoreani. È di questi giorni la notizia del trasferimento di parte della Us Forces Korea a sud di Seul entro il 2016.
Seul e Washington trattano inoltre per rinegoziare lo Special Measures Agreement in scadenza quest’anno. Due i temi principali sul tavolo Il primo è se gli Stati Uniti debbano mantenere il comando delle operazioni in caso di conflitto. Il secondo è la divisione dei costi per gli oltre 28mila militari americani di stanza in Corea. Del quadro asiatico fanno parte anche antichi nemici come il Vietnam e alleati di vecchia data come l’Australia. Nel 2011 il governo di Canberra ha deciso che Darwin diventerà una base per marine. In un recente rapporto il think tank Centre for Strategic and Budgetary Assessments ha definito «vitale» il ruolo australiano. Restando nell’area è di fine ottobre la ripresa dei rapporti militari bilaterali con la Nuova Zelanda. Nel 1986 Washington ordinò un embargo contro Wellington per l’opposizoine neozelandese al passaggio di sottomarini nucleari nelle proprie acque.