Insomma, non ci si improvvisa per fare quello che da noi è diventato famoso come il cucchiaio. Almeno da quando nel 2000, nella semifinale degli Europei tra la nazionale allora allenata da Dino Zoff e l’Olanda, il capitano della Roma decise di beffare lo spilungone Edwin Van Der Sar (allora in forza alla Juve) con una delle sue pennellate da sommo artista pallonaro. Si racconta che avesse dichiarato le sue intenzioni ai compagni prima di impallinare l’estremo difensore avversario e che il capitano Paolo Maldini gli avesse dato del matto, rimanendo a dir poco scioccato all’idea di tale e tanta follia. L’Italia si stava pur sempre giocando una semifinale dell’Europeo (poi perso all’atto conclusivo con la Francia)!

In realtà c’è chi, esattamente 40 anni fa, un «cucchiaio» lo calciò addirittura in finale. Finendo per alzare la coppa. Si chiamava Antonin Panenka, era ceco, anzi cecoslovacco, e da allora, almeno fino al bel gesto tottiano, il suo cognome è diventato sinonimo del rigore tirato con il giusto mix di arroganza e classe.

L’occasione era quanto mai storica: per la prima volta una competizione a squadre di così alto profilo veniva decisa ai tiri dal dischetto. Già in semifinale Panenka e compagni avevano fatto l’impresa eliminando dopo i tempi supplementari l’Olanda di Cruijff, Neeskens e Krol. Ciò nonostante, praticamente nessuno concedeva loro qualche speranza di vittoria contro la Germania allora solo dell’Ovest e campione del mondo in carica. Eppure nello stadio della Stella Rossa di Belgrado i cecoslovacchi sorpresero subito i più quotati teutonici, scattando in avanti per 2-0. Siccome però, come dice Gary Lineker, «il calcio è un gioco semplice, 22 uomini rincorrono una palla per 90 minuti e alla fine i tedeschi vincono», la partita aveva in serbo un mucchio di altre emozioni. In questo caso l’aforisma dell’ex centravanti della nazionale inglese si rivelò vero solo in parte. I ragazzi allenati Helmut Schön si fermarono al pareggio grazie a un goal segnato in extremis da Bernd Hölzenbein. A nulla valsero i 30 minuti di extra time, così si inaugurò la lotteria dei rigori, poi diventati croce e delizia, disperazione ed estasi di generazioni di tifosi.

L’unico errore di quella piovosa notte belgradese lo commise Uli Hoenness, che sparò altissimo. Toccò allora a un ventottenne perito alberghiero dal baffo d’antan regalare un successo insperato al Paese non ancora diviso dagli effetti della Rivoluzione di Velluto. A una rincorsa poderosa fece seguire una finta magistrale che mise a sedere un monumento del calcio come Sepp Meier, che tutto si aspettava tranne che un tiretto debole debole che si insaccò al centro della porta. Ignorava il portierone della nazionale germanica che quella di Panenka non era l’improvvisata del momento, ma il frutto di una sana applicazione sia in allenamento che soprattutto con la maglia del Bohemians Praga in campionato. Quelli non erano tempi di bulimia calcistica in televisione e le immagini da «oltre cortina» erano ancora meno usuali, per cui Meier ignorava la specialità del centrocampista cecoslovacco. Altrimenti forse sarebbe potuto rimaner fermo e avrebbe potuto bloccare il pallone con estrema facilità. Dal 1976 il penalty «lambito» in quel modo è universalmente conosciuto come «il Panenka». Che in Italia però si traduce cucchiaio…