ARCI, ASGI e GLAN (Global Legal Action Network) hanno presentato un esposto alla Corte dei Conti Europea per le risorse, 90 milioni di euro, con le quali la Commissione Europea, di fatto, fornisce supporto finanziario a progetti che sostengono il respingimento di persone verso la Libia. Un Paese in guerra dove migliaia di persone subiscono terribili abusi.

Risorse che l’Ue dovrebbe destinare allo sviluppo e alla cooperazione, ma che in realtà, in violazione degli obblighi di legge, contribuiscono a perpetrare gravi violazioni dei diritti umani. Con l’esposto presentato si chiede alla Corte dei conti di dare inizio a una special review (analisi) del programma di gestione integrata delle frontiere (International border management, Ibm) finanziato attraverso il Fondo Fiduciario per l’Africa e di assicurarsi che la Commissione europea sospenda il programma in attesa delle revisioni necessarie, come richiesto dal diritto dell’Ue.

Un’Europa che contribuisce a gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale attraverso l’utilizzo distorto dei fondi destinati allo sviluppo, è un’Europa che manca ai suoi impegni e mina le sue fondamenta. Mentre la società civile delle due sponde del Mediterraneo, insieme ad autorevoli istituzioni internazionali, chiede a gran voce lo svuotamento dei centri di detenzione libici, la cooperazione dell’Italia con la Libia, sostenuta dall’UE, finanzia respingimenti illegali di uomini, donne e bambini, verso l’inferno libico, anziché assicurargli salvezza e riparo in un porto sicuro.

Le risorse del Fondo fiduciario per l’Africa possono finanziare solo azioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo e non strumenti e formazione per il controllo delle frontiere. Tuttavia, l’Ue ha deciso di allocare queste risorse nel programma Ibm per ridurre il flusso migratorio dalla Libia, sostenendo la cosiddetta guardia costiera libica, con equipaggiamenti e formazione.

Queste risorse, come ogni altro ambito di spesa dell’Ue, sono soggette a norme basate sul principio della buona gestione finanziaria, che includono, tra le altre cose, l’obbligo di un sistema di valutazione e monitoraggio dell’impatto sui diritti umani. Il Fondo fiduciario per l’Africa prevede che tali attività siano condotte da chi riceve i fondi, ossia i partner di attuazione. Ma è un sistema che si è già dimostrato fallace.

L’Italia infatti, è stata già coinvolta in diversi contenziosi per i suoi programmi in Libia in materia di diritti umani davanti a organismi nazionali e internazionali: come sostenuto dal Comitato Onu contro la tortura, la cooperazione tra Italia e Libia acuisce il rischio dell’esercizio di forme di tortura da parte delle autorità libiche.

Il programma Ibm è entrato nella sua seconda fase, senza sostanziali cambiamenti. Al momento non è proposta alcuna restrizione o condizionamento nell’uso dei fondi, né tanto meno il riferimento a un eventuale sistema di valutazione e di monitoraggio stabile sull’impatto del programma sui diritti umani. Il diritto dell’UE e il diritto internazionale, come si sottolinea nell’esposto, richiedono che l’Unione e i suoi stati membri condizionino il finanziamento attraverso misure concrete e verificabili, inclusa la chiusura dei centri di detenzione libici e l’adozione e attuazione di norme che garantiscano il diritto d’asilo da parte delle autorità libiche.

Nonostante siano state avanzate ripetute richieste, le istituzioni dell’Ue si sono rifiutate di fornire informazioni sui tali finanziamenti, violando, di fatto, le norme di trasparenza finanziaria.

La mancanza di programmi di monitoraggio dei diritti umani, e l’uso dei fondi per lo sviluppo a supporto di programmi sulla sicurezza, così come avvenuto per quelli finanziati dal Fondo Fiduciario per l’Africa, sono prove evidenti di una deriva molto pericolosa che le istituzioni dell’Ue e gli Stati membri hanno scelto.

In assenza di una volontà politica sia a livello nazionale che dell’Ue, di mettere in campo alternative giuste e praticabili, il ricorso alla magistratura contabile può essere uno strumento efficace per fermare il processo di esternalizzazione delle frontiere e di distorsione dei fondi per la cooperazione. La risposta della Corte dei Conti dell’Ue è attesa per la metà di maggio.