Legittimazione per al Sisi, faraone debole in casa propria, in cambio della normalizzazione ufficiale dei rapporti. Così Amro Ali, sociologo e professore all’American University del Cairo, interpreta il rientro dell’ambasciatore italiano al Cairo, senza che nelle indagini si siano registrate svolte.

19est2_site_197_Ar
Il prof. Amro Ali

L’ambasciatore italiano torna al Cairo. Come viene letta la notizia in Egitto?
Dietro il ritorno dell’ambasciatore italiano, sebbene nessuna verità sia stata archiviata, si può leggere il prolungato boicottaggio da parte delle autorità egiziane, i ritardi e lo stallo nelle indagini. Ma, guardandolo da qui, più di tutto opera il disinteresse per la questione dei diritti umani, l’indecenza dell’interesse di parte che prevarica lo Stato di diritto. Nulla di tutto ciò ha portato all’interruzione vera dei rapporti tra Italia e Egitto, è l’Italia che non lo ha permesso.

Effetti sulla società civile e i movimenti di base, indirettamente, ce ne saranno?
Questo è un altro livello del problema. La questione interna egiziana non può essere risolta ignorandola. Eppure a prevalere è la realpolitik. Non va dimenticato l’effetto Trump, che nella pratica ha dato luce verde al regime per il blocco dei siti web e di informazione, l’arresto di attivisti considerati un potenziale – non necessariamente concreto – rischio per lo Stato. Ad inficiare sulle scelte italiane è anche il clima esterno, internazionale, che alla fine si abbatte sulla società civile egiziana.

L’Italia conosce da tempo le bugie del Cairo sul caso Regeni. La questione è prettamente politica. Giulio si inserisce in quest’opera di legittimazione del governo egiziano?
I ministeri degli interni e della difesa sono entità divise e i rispettivi servizi segreti estremamente frammentati. Al Sisi non gode di una presidenza solida. Durante l’era Mubarak era il ministero degli interni a prevalere sulle altre autorità, ma dopo la rivoluzione è stato indebolito dal ruolo dell’esercito. Proprio perché al Sisi non gode di una forte legittimazione interna e di un regime solido, ha bisogno di guardare fuori per una legittimazione che sia almeno internazionale.

Gli interessi dei paesi occidentali, Italia compresa, si intrecciano con il suo bisogno di consolidamento.
L’Egitto è importante perché è il più grande paese della regione, è il cuore culturale e politico – storicamente – del mondo arabo, e punta ancora oggi ad esserne il centro di gravità. Gli interessi economici e politici che ruotano intorno all’Egitto sono enormi, a partire dall’ampiezza del mercato interno, per l’Italia e l’Europa estremamente attraente sia per la vendita di prodotti, verso una popolazione di quasi 100 milioni di abitanti, sia per gli investimenti delle grandi aziende. È un polo turistico, è il paese che gestisce il Canale di Suez, è un luogo ricco di materie prime: per l’Italia è un centro economico di riferimento.

Un mese fa un giovane egiziano, Tharwat Sameh, è stato trovato morto, un caso molto simile a quello di Giulio e di tanti altri desaparecidos.
Le sparizioni forzate e le morti in custodia restano un fatto molto comune, non esistono statistiche precise ma il numero è alto. Molte di queste sono imputabili a elementi-ombra dentro i servizi segreti, che operano secondo un preciso codice di condotta: il ministero degli interni non ne è ufficialmente responsabile, e questo che rende la cosa ancora più pericolosa, meno tracciabile. È un tipo di repressione affidata a soggetti apparentemente esterni al sistema, ufficiosamente non dipendenti dal ministero e che quindi non sono nemmeno tenuti a registrare le proprie attività. È sempre più difficile capire cosa accada o sia accaduto, come nel caso Regeni, perché ci si muove in un ambiente opaco, su più livelli di potere.

Qual è oggi il clima che si respira in Egitto?
Il popolo egiziano non è mai stato tanto esausto dopo quello che ha dato nel recente passato. E questo ruolo di cui è stato investito il paese sicuramente rende la situazione ancora peggiore: la repressione sparisce sotto un tappeto. Ma se la giustizia si allontana, le tensioni continuano a bollire, a crescere. Basta guardare la situazione socio-economica, con i prezzi dei beni di prima necessità, dal pane al latte alla farina, che aumentano costantemente. Anche le classi media e medio-alta non sono più in grado di affrontare l’inflazione, immaginate le classi basse, vivono in pura miseria. Nelle grandi città la situazione è apparentemente calma a causa della disperazione e della frustrazione. La gente è stanca e molti provano a lasciare il paese. Resto comunque speranzoso: dobbiamo continuare a fare il nostro lavoro.