Per capire meglio cosa sta avvenendo in Etiopia, quando vero o presunto sia il processo di democratizzazione avviato con la nomina a premier di Abiy Ahmed, abbiamo rivolto alcune domande allo scrittore Befeqadu Hailu.

Incarcerato nel 2014 per aver partecipato con i suoi articoli al Blog Zone 9, uno strumento di diffusione di idee politiche libere in un momento in cui la libertà di espressione era tabù, Hailu, classe 1980, è un pluripremiato attivista dei diritti umani. Negli stessi giorni in cui Abiy Ahmed riceveva il Nobel per la pace, lo scrittore veniva insignito del Pen Pinter Prize come «International Writer of Courage».

Ha letto il rapporto di Amnesty International pubblicato a fine maggio? Quali sono i punti critici che identifica?

Avevamo già sentito parlare del brutale trattamento ricevuto dagli abitanti di alcuni territori della regione Amhara e Oromia da parte dei funzionari della sicurezza, ma leggere il rapporto e ascoltare le testimonianze delle vittime è stato scioccante.

Come sono stati repressi i disordini e quali sono le responsabilità del governo?

I gruppi ribelli dell’Oromia occidentale hanno ucciso centinaia di civili nella regione e hanno causato milioni di sfollati. Il governo è stato lento nel sottoporre la situazione al sistema legislativo e giuridico. In un secondo momento ha permesso l’intervento delle Forze di difesa etiopi perché la situazione è andata fuori controllo. In questa situazione sono accadute le atrocità descritte nel report. In Etiopia l’addestramento del personale delle Forze di difesa è quello dei combattenti, trattano la comunità come un nemico perché gli è stato raccontato che al suo interno nasconde i ribelli. Ecco perché è inaccettabile il livello di atrocità avvenuto nell’area Guji, nel centro-sud del paese.

Quali sono le richieste dei gruppi politici attivi nella regione di Amhara e nell’Oromo Liberation Front? Chi sono gli architetti della rivolta? I loro metodi sono corretti?

Nella regione di Amhara, ci sono le Forze speciali che sono sostenute da Gruppi di vigilanza: sono loro che hanno commesso le atrocità. E in Oromia sono i membri delle Forze di difesa ad aver commesso i crimini denunciati. Il rapporto manca di compiacenza verso il governo, ma non fornisce un quadro completo di quanto è accaduto e di come sia successo. È importante far conoscere al mondo intero le gravi violazioni di diritti umani indicate nel report, ma è altrettanto importante specificare il contesto, in modo che le persone capiscano bene cosa sta succedendo e possano proporre una soluzione sostenibile. In entrambe le regioni di Amhara e Oromia, dove è stato sviluppato il rapporto, ci sono gruppi di ribelli armati. Forse è per questo motivo che il rapporto si intitola Beyond Law Enforcement. Gli abusi che sono attribuiti alle forze dell’ordine sono davvero troppo «oltre l’applicazione della legge».

Qualcuno potrebbe beneficiare delle accuse fatte ad Abiy Ahmed nel rapporto?

No, non credo. Certo, il gruppo nazionalista Oromo è soddisfatto perché rende di dominio pubblico le atrocità avvenute nella regione. In questo modo è una storia che infanga la reputazione del premier. Il gruppo di oppositori però non ne beneficia in nessun altro modo, perché le persone per le quali dichiarano di lottare, stanno soffrendo veramente.

Secondo lei c’è una responsabilità del governo in questa nuova esplosione dei conflitti inter-etnici?

La responsabilità del governo va dal rispetto dei diritti umani, fino alla protezione e alla creazione di un ambiente adatto per lo sviluppo degli stessi. Tuttavia, nel caso etiope, gli ufficiali governativi della sicurezza sono coinvolti nei conflitti inter-comunitari. È troppo avvilente che accada questo da parte di un governo che afferma di stare avviando una riforma democratica.

Quale ruolo svolgono i social network nell’organizzazione dei gruppi politici?
I social network migliorano la mobilitazione sociale, ma c’è anche il rischio che siano vulnerabili e quindi vittime di campagne di disinformazione, circuiti di odio e così via.

In un tweet recentemente lei ha anche denunciato l’arresto di sua sorella. Come è finita?

È stata una breve detenzione. Era solo una dimostrazione di forza della polizia per spaventare le persone e obbligarle a rispettare il distanziamento sociale e le misure precauzionali contro la diffusione del Coronavirus. Ma è stato un comportamento inappropriato da parte delle forze dell’ordine perché noi stavamo rispettando le limitazioni richieste dal governo. La novità principale della situazione della sicurezza negli ultimi due anni in Etiopia è che gli attori non-governativi sono stati incoraggiati. Ma, recentemente, lo stato federale ha cominciato a riprendere il controllo e il monopolio della violenza.