Il provvedimento di sequestro da parte del gip di Taranto di beni fino a 8,1 miliardi delle società della famiglia Riva non motiva in che modo quelle somme siano «profitto dei reati associativi e ambientali» di cui sono accusate le persone a capo della società «controllante», la Riva Fire, e non spiega perché debbano essere considerati «profitto del reato» e come tali aggredibili con una misura cautelare. Lo scrive la Sesta sezione penale della Cassazione, nelle motivazioni della sentenza con cui il 20 dicembre ha ordinato la restituzione dei beni accogliendo il ricorso dei legali della holding del gruppo lombardo.

La Cassazione ha ritenuto di censurare il provvedimento con cui il gip Patrizia Todisco aveva esteso alle società il sequestro originariamente posto a carico di Ilva e Riva Fire, tra l’altro in assenza di una richiesta in tal senso da parte della procura. Il provvedimento era stato disposto dal gip su richiesta della procura di Taranto, il 24 maggio, e confermato dal Riesame il 15 giugno. Riguardava i beni e le disponibilità finanziarie della Riva Fire (Finanziaria industriale Riva Emilio), che controlla il 61,62% delle azioni dell’Ilva Spa, sulla base della quantificazione elaborata dai custodi giudiziari degli impianti dell’area a caldo del siderurgico tarantino, per una cifra equivalente alle somme che nel corso degli anni l’Ilva avrebbe risparmiato non adeguando gli impianti.

Nell’ordinanza il gip «non spiega – a giudizio dei giudici della sesta sezione penale della Cassazione, sentenza n. 2259 – le ragioni dell’estensione del sequestro rispetto a soggetti e a beni non ricompresi nel provvedimento cautelare» originariamente emesso, «omettendo peraltro di specificare i motivi per i quali tali beni – facenti capo a società giuridicamente autonome rispetto a quelle coinvolte nell’indagine – siano stati considerati profitti dei reati associativi e ambientali oggetti delle imputazioni formulate a carico di persone fisiche nelle posizioni apicali delle società controllate».

Lo scorso 10 settembre infatti, il gip Todisco estese il sequestro anche alla Riva Acciaio, Riva Energia e a tutte le società controllate dall’Ilva Spa: la stretta riguardò nove società controllate in via diretta e indiretta in forma dominante da Ilva spa, tre società controllate in via diretta in forma dominante da Riva Forni Elettrici spa, una società controllata mediante influenza dominante da Riva Fire spa. Il maggior numero dei sequestri avvenne tra Milano (le società hanno quasi tutte sede nel capoluogo lombardo) e Taranto.

La Cassazione nelle sue motivazioni ha sottolineato che nel provvedimento, viziato da «abnormità», non è possibile desumere «alcun tipo di relazione tra le risorse patrimoniali delle società controllate e la destinazione impressa al profitto illecito» che sarebbe stato ottenuto dalle società indagate e controllanti Riva Fire e Ilva spa. Per questo aveva ordinato «il dissequestro e la restituzione delle cose sequestrate agli aventi diritto».