Il 13 agosto 2011 il governo ha approvato il decreto legge 138/2011 (cosiddetto decreto di Ferragosto), convertito con modificazioni dalla legge n. 148/2011. Tramite l’articolo 4 di tale decreto sostanzialmente veniva riproposta la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica contenuta nell’art. 23-bis abrogata con i referendum del 12-13 giugno 2011 pur escludendo il servizio idrico. Su tale provvedimento diverse Regioni hanno presentato ricorso e la Corte costituzionale si è espressa (sentenza n. 199/2012 del 20/07/2012) dichiarando incostituzionale l’art. 4 e le successive modifiche per palese violazione dell’art. 75 della Costituzione. La Consulta ha riconosciuto che «l’impugnato art. 4, il quale nonostante sia intitolato “Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea”, detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, (…) letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art. 23-bis». Poi prosegue: «La disposizione impugnata viola, quindi, il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost.».
Il patto di stabilità
Seppur diversi sono stati i provvedimenti approvati in tale senso è possibile sostenere che il patto di stabilità non si applica a società in house ed aziende speciali affidatarie dirette di servizi pubblici locali, perché ad oggi manca il provvedimento attuativo di quanto previsto in merito nell’art. 25 del decreto liberalizzazioni non essendo stato ancora emanato il decreto ministeriale tramite il quale dovevano essere individuate le modalità di assoggettamento al patto di stabilità (l’at. 25 disponeva fosse approvato entro ottobre 2012). È evidente che sottoporre le Aziende speciali al Patto di stabilità significa, in primo luogo, estendere anche ad esse ciò che si è verificato per gli enti locali, cioè costruire una condizione per cui esse non saranno più in condizioni di effettuare investimenti e che questa diventerà la strada per favorire i processi di privatizzazione.

L’intervento dell’Autorità per l’Energia
Per quanto riguarda il secondo quesito referendario, il decreto “Salva Italia” ha trasferito all’Autorità dell’energia e del gas «le funzioni di regolazione e di controllo dei servizi idrici». Il 28 dicembre 2012 l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha approvato la delibera 585/2012 con cui è stato definito il Metodo Tariffario Transitorio per la determinazione delle tariffe negli anni 2012 e 2013. Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ha espresso un giudizio assolutamente negativo su tale delibera e su cui, insieme a Federconsumatori, ha promosso un ricorso al Tar Lombardia. Giudizio che si basa in primis sul mancato rispetto dell’esito del secondo referendum. Al contrario si stanno facendo rientrare dalla finestra i profitti garantiti per i gestori, sotto la denominazione di «costo della risorsa finanziaria». Il nuovo metodo predisposto dall’Autorità, riproponendo la copertura tramite tariffa, e quindi il riconoscimento ai gestori di una percentuale standard del capitale investito, sostanzialmente non sta facendo altro che reintrodurre lo stesso meccanismo della remunerazione del capitale investito. La conseguenza più diretta dell’applicazione del Metodo Tariffario Transitorio sarà un aumento molto rilevante, che in media ammonterà ad un 13-14%. I primi risultati relativi all’impatto del nuovo metodo sono stati raccolti in uno studio dell’Anea (Associazione Nazionale Autorità e Enti di Ambito): gli aumenti tariffari medi, su un campione che riguarda 61 gestori, sono del 13,7%, con valori fra il 22 e il 46,8% per una decina di gestori, mentre solo 17 gestori, resta sotto la soglia del 6,5% di aumento prevista dal vecchio metodo tariffario normalizzato.
A fronte di tali dati e nonostante sia tuttora vigente il principio del full cost recovery, per cui la tariffa dovrebbe coprire integralmente i costi del servizio, Federutility continua a richiedere al governo di trovare una modalità di finanziamento degli investimenti necessari (circa 2 mld di euro l’anno), indicando come soluzioni preferibili tasse e finanziamenti pubblici. Appare evidente che queste soluzioni non fanno altro che rendere possibili profitti più elevati per gli stessi gestori, essendo in gran parte sgravati dall’onere di dover sopperire agli investimenti. Tale richiesta, tra l’altro, sta diventando sempre più pressante visto che, sulla base del nuovo metodo tariffario, la remuneratività degli investimenti calerà considerevolmente essendo possibile caricare in tariffa solo quelli effettivamente realizzati, a differenza del metodo normalizzato secondo cui la remunerazione veniva calcolata sulla totalità degli investimenti, anche sulla porzione solamente programmata che in media oscillava tra il 40%-45%.