Parte il Pnrr e le Regioni italiane, soprattutto quelle del Nord, cominciano a crescere come non era mai accaduto. I dirigenti di Piemonte e Lombardia non perdono l’occasione per sottolineare che trascinano l’Europa verso la crescita e, peggio ancora, affermano che l’Europa sono loro. Certe riflessioni sono figlie di una storia nobile e in qualche caso particolare, ma proprio questa Storia riflette inettitudine e per alcuni versi manifesta incapacità delle categorie che avevano più di un interesse ad agganciare l’Europa (la classe imprenditoriale). E, in alcuni casi, abbiamo anche il ribaltamento della Storia. Per esempio, la modesta, insisto con modesta, Emilia-Romagna ha superato nella dinamica del Pil la Lombardia, mentre regioni come il Piemonte e la Liguria si ritrovano nelle stesse posizioni del 2000 la prima, e significativamente al disotto la seconda. In qualche misura sono lo specchio del Paese che, con tutta evidenza, da troppo tempo non è più un Paese europeo.

Chiedo scusa per qualche numero, ma con le narrazioni si rischia di perdersi. Di quanto le regioni del Nord d’Italia sono cresciute meno della media di Francia e Germania nel medio periodo? Piemonte meno 24 punti; Liguria meno 26 punti; Lombardia meno 14,5 punti; Veneto meno 17,8 punti; Emilia-Romagna meno 14,2 punti; Toscana meno 18,3 punti percentuali. I numeri del Mezzogiorno sono indiscutibilmente più gravi, ma dobbiamo pur considerare che nessuna di queste regioni avevano la stessa dotazione tecnica delle regioni del Nord. Il Nord ha quindi impoverito il Paese ed ha frantumato quel poco-tanto di buono che i padri nobili del recente passato avevano creato.

Dobbiamo considerare anche la produttività del lavoro, con una avvertenza: la produttività del lavoro è direttamente proporzionale alla specializzazione produttiva e agli effetti qualitativi e quantitativi degli investimenti. In altri termini, la produttività del lavoro è l’esito delle politiche degli imprenditori e della Pubblica Amministrazione delle regioni considerate. Nessuna dovrebbe sorprendersi, ma la Storia presenta sempre il conto delle politiche economiche intraprese. Sebbene in quasi tutti gli Stati europei la produttività del lavoro dal 2000 al 2019 sia cresciuta, in Germania è poco sopra 110, tanto o poco non è importante, tutte le regioni italiane hanno financo perso posizioni rispetto al 2000. Un esito che richiama i grandi mali della politica economica e della classe dirigente di questo Paese.

Non discutiamo di numeri a margine, piuttosto di una vera e propria despecializzazione produttiva. Facendo 100 il 2000, abbiamo che: Piemonte 90,6; Liguria 88,6; Lombardia 98,5; Veneto 93; Emilia-Romagna 96,6; Toscana 94,6. Se calcolate la differenza rispetto al 110 della Germania potete avere l’esatta fotografia del degrado economico delle regioni del Nord. Sebbene il Mezzogiorno abbia dei numeri significativamente inferiori, la sua tendenza rimane distante dalla Germania, ma almeno stabile. In fondo aveva poco prima ed ha poco ora.

La percentuale dell’occupazione totale sulla popolazione offre uno spaccato ancor più drammatico, sebbene possa sembrare a prima vista un poco migliore. Al netto della Germania che ha valori irraggiungibili (54,5%), le Regioni del Nord registrano valori non banali: Piemonte 43,5; Liguria 43,3; Lombardia 48,8; Veneto 47,5; Emilia-Romagna 49,1; Toscana 45,7 percento. Non si tratta di valori eclatanti, ma sono anche migliori della Francia per capirci.

Se combiniamo questa informazione statistica con la dinamica del Pil e della produttività, osserviamo che si tratta sostanzialmente di lavoro povero e a basso valore aggiunto. Se queste regioni del Nord avessero la stessa specializzazione produttiva della media dei paesi come Francia e Germania, il Nord potrebbe anche diventare un motore europeo, ma data la struttura economica possiamo ben affermare che il Paese ha perso il Nord ed è difficile assegnare a queste regioni lo sviluppo del Paese. Le narrazioni sono una cosa, la realtà è quella di un vecchio campione di box, provato dalle tante battaglie e ormai incapace di reagire. Servono nuovi campioni e, soprattutto, nuovi allenatori.