«Ci vuole uno tsunami, qualcosa che li spazzi via tutti». La frase mormorata digrignando i denti, risuonava spesso nei vicoli del centro storico, alla vigilia delle recenti elezioni. Per le amministrative c’è sempre qualche galoppino dei leader politici, che passa di casa in casa a saldare il pagamento delle bollette o addirittura distribuisce banconote in cambio di pacchetti familiari di voti. Quella delle politiche, invece, è una scheda elettorale meno pilotabile da clientele. Così in tanti hanno potuto apporre la fatidica «X» col pugnale tra i denti.

SE UNO RAFFRONTA i risultati delle amministrative di 20 mesi prima col voto del 4 marzo, nota che solo l’affluenza non è in controtendenza. A Cosenza continuano a recarsi ai seggi 7 abitanti su 10, ma per il resto sembra un’altra città. Un vero rovesciamento. La città bruzia è governata dalla destra che il 7 giugno 2016 sbaragliò il campo al primo turno con il 59% davanti a un Pd precipitato al 18,9% e i 5stelle inchiodati ad un misero 4,5%, superati anche dalla sinistra che sfiorò il 6%.

Oggi Cosenza è invasa da una marea gialla. La destra è crollata al 27%, il Pd ancora più giù al 12%, la sinistra si è divisa tra Leu (3,3%) e Potere al Popolo (2,4%). Il resto è un dominio dei 5stelle che fa impressione: dal 4,5% al 47,4%, da 1.800 voti assoluti a più di 20mila. Dal centro città fino alla zona stadio, da «Città 2000» fino a Panebianco i grillini sfiorano la maggioranza assoluta. La soglia del 50% è superata nei tre quartieri popolari, attraversati dal disagio sociale: Via Popilia, Serraspiga e Cosenza Vecchia.

Sulle ragioni del voto non ha dubbi Stefano Catanzariti, portavoce del Comitato Piazza Piccola, molto attivo nel centro storico. «La gente non ne poteva più di cognomi come Gentile e Mancini. Non è che i 5 Stelle godano di credibilità. I quartieri popolari li hanno votati pur di spazzare via un’intera classe politica». Nel centro storico, rispetto agli altri anni, c’è meno fermento nella sfera delinquenziale dopo le varie operazioni contro la malavita organizzata e il dilagare del pentitismo. «Tuttavia, con l’aumentare della repressione – prosegue Catanzariti – è cresciuta anche la percezione della crisi. Le politiche del decoro e il Daspo urbano hanno finito per pesare sui più deboli, quelli costretti a campare d’espedienti: ambulanti e parcheggiatori abusivi». Il contesto si presenta sempre più degradato. «Tra i 14 e i 18 anni molti ragazzini sono dediti allo spaccio ed ai piccoli furti. I livelli di abbandono scolastico sono spaventosi.

Gli anziani sono abbandonati: una disabilità motoria comporta forme di auto reclusione in casa», denuncia il portavoce del Comitato Piazza Piccola. «In clima preelettorale – racconta Catanzariti – è passato da qui il ministro Dario Franceschini che ha promesso l’arrivo di 90 milioni per la riqualificazione del quartiere. Ma ormai il Pd era talmente “bruciato” che nemmeno questo annuncio roboante lo ha salvato. Noi – conclude – chiediamo che questi fondi del Mibact vengano impiegati per attivare servizi sociali qui, non altrove, e che servano per ristrutturare anche gli edifici privati che stanno crollando, oltre che per formare nuove professioni e impiegare i ragazzi stessi che vi abitano. A prescindere dalle istituzioni, stiamo lavorando per attivare dal basso una serie di sportelli operativi su queste problematiche».

MARTA MADDALON è veneta, linguista, docente universitaria, vive nel quartiere storico di Cosenza da decenni. Individua subito i nodi della questione: «I partiti istituzionali e i movimenti non leggono la realtà, perché non sanno farlo. Il centro storico ha bisogno di interventi “antibiotici” che fermino l’infezione; a ogni piano di recupero, meglio se sensato, deve essere premessa una cura che parta dal riconoscimento di chi lo abita e attui misure straordinarie sulle emergenze ineludibili: ambulatori di quartiere, squadre di operatori per pulire i vicoli e alfabetizzare gli abitanti a recuperare la dignità».

Per Maddalon, dal vecchio sindaco Giacomo Mancini alla gestione forzista di Mario Occhiuto, in questi vent’anni poco è cambiato: «Gli amministratori da decenni si sono divisi tra immobilismo e spettacolarità. Quando un politico non ha la stoffa per fare il suo mestiere, crede, e i cittadini-servi glielo lasciano credere, che passerà alla storia per una statua, una piazza, un ponte. Grandi vecchi sono diventati, nella narrazione popolare, eroi a cui assegnare tutto il bello e il buono che è avvenuto, ma che hanno “dannato” per molti versi il futuro. Costoro, gestendo il potere da sovrani “illuminati” non hanno, consapevolmente, cercato la crescita sociale dei loro sudditi che, infatti, continuano a rimpiangere un capo che li guidi invece di crescere e determinare, loro, la politica».

INFINE, DELIO DI BLASI della Cgil allarga la visuale fornendo dati eloquenti: «La nostra è la regione italiana che, durante questi anni di crisi, ha perso in percentuale più posti di lavoro; rispetto al 2008 in Calabria gli occupati sono diminuiti del 12%. In questo stesso periodo, circa 60 mila calabresi hanno trasferito la propria residenza in altre regioni d’Italia. La crisi ha colpito talmente duro che oggi quasi un calabrese su due risulta a rischio di povertà ed esclusione sociale. In base agli ultimi dati disponibili – spiega Di Blasi -, nel 2017 a Cosenza il tasso di disoccupazione è stato pari al 32,4% e quello relativo alla disoccupazione giovanile ha superato il 71%».

In questo scenario drammatico, in cui l’unica prospettiva è quella del lavoro povero, della precarietà, dello sfruttamento ed in cui le classi popolari hanno ritenuto la sinistra responsabile dei tagli alla sanità, alle pensioni, alla scuola pubblica oltre che dell’attacco portato ai diritti dei lavoratori,  è maturato il risultato del 4 marzo.