Chi sta combattendo davvero in Ucraina? Com’è noto in Russia i rapporti su quelle che Putin ha definito «operazioni speciali» sono filtrati nonostante la legge che prevede quindici anni di carcere per le notizie diverse da quelli ufficiali.
Ma le relazioni quotidiane del ministero della Difesa e i discorsi dello stesso Putin permettono alcune riflessioni su uno dei problemi più grandi per le truppe russe impegnate in Ucraina, che riguarda la qualità dello sforzo militare.

IL 4 MARZO al Consiglio federale la senatrice Lyudmila Narusova ha parlato per la prima volta di militari di leva mandati al fronte probabilmente con l’inganno e di sicuro senza la minima esperienza di combattimento. «Ieri è rientrato un gruppo di coscritti, il cui impiego avviene sulla base di un accordo volontario. Erano un centinaio. Solamente quattro sono sopravvissuti. Ho chiesto conferma al dipartimento militare. Il dipartimento ha rifiutato. Mi hanno accusata di fornire informazioni false. Perché rifiutano di discutere la veridicità di quelle notizie?».
Narusova è la vedova di Anatolij Sobchak, scomparso nel 2000. Putin è stato assistente di Sobchak a San Pietroburgo negli anni Novanta. Nel suo intervento Narusova ha anche detto che i soldati di leva «sono stati costretti a firmare il contratto, oppure qualcuno l’ha firmato per loro». L’8 marzo, in un discorso pubblico in occasione della Giornata della donna, Putin ha dichiarato che «coscritti e riservisti non parteciperanno mai ai combattimenti».
Il 10 marzo dal quartier generale della Difesa sulla Moscova il generale Igor Konashenkov ha ammesso per la prima volta la presenza di militari di leva sul territorio ucraino. «La maggior parte di loro è tornata in Russia», ha detto Konashenkov. Numeri non ne ha forniti, ma ha fatto sapere che alcuni dei coscritti facevano parte di una unità «catturata da un battaglione ucraino». Poche ore più tardi il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha parlato di «indagini» e di «punizioni» per gli ufficiali che hanno disatteso le consegne sulla composizione del contingente.

SU QUESTO specifico punto le perplessità crescono giorno dopo giorno, e lo scandalo dei militari di leva non pare un evento isolato. Secondo le stime dei servizi di intelligence occidentali alla fine di febbraio la Russia aveva schierato circa 130.000 soldati su tre confini terrestri con l’Ucraina: a nord, in Bielorussia, a est, a ridosso delle repubbliche ribelli di Donetsk e di Lugansk, e a sud, in Crimea. È difficile stabilire quanti di quegli uomini siano effettivamente sul territorio ucraino. Ma venerdì, dopo un colloquio in videoconferenza con il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, Putin ha aperto ai sedicimila rinforzi che sempre secondo Shoigu sarebbero in arrivo dal medio oriente. Il canale televisivo delle forze armate, Zvezda, ha trasmesso per tutto il pomeriggio le immagini di militari siriani pronti a combattere al fianco dell’esercito russo. Per loro Putin ha usato il termine «volontari». La settimana prima il ministero della Difesa aveva convocato l’attaché militare dell’ambasciata croata per avere spiegazioni su «duecento mercenari» che dal paese avevano raggiunto i «battaglioni neonazisti» in Ucraina. Alla Siria il Cremlino ha offerto appoggio contro l’Isis a partire dal 2015, e proprio a Damasco il ministro Shoigu ha incontrato il presidente Bashar al Assad alla vigilia delle operazioni in Ucraina.

La ricerca di manodopera per le operazioni speciali sarebbe in corso anche fra i lavoratori stranieri, in particolare fra quelli dell’Asia centrale che si trovano in Russia. Secondo il portale Eurasianet, i centri per l’immigrazione offrono da alcuni giorni una strada più rapida per ottenere la cittadinanza che passa per il servizio militare nelle zone di combattimento. Questo, insieme con il progressivo calo dell’occupazione nelle grandi città russe starebbe spingendo molti al ritorno in Uzbekistan, Kyrgyzystan e Tajikistan.

LA SCELTA IMPROVVISA di usare l’esercito per risolvere i colloqui sulla sicurezza con l’Europa e l’imprevedibile durata del conflitto stanno evidentemente costringendo l’élité militare putiniana a decisioni non ortodosse per mantenere il controllo sull’Ucraina.