Lo Stige del marchesato di Crotone è tracimato ieri grazie all’omonima inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro, travolgendo 169 soggetti, per lo più imprenditori e amministratori, arrestati all’alba nel blitz del Ros. E’ un fatto inedito nella storia criminale di queste latitudini. Solo 9 dei fermati, infatti, sono picciotti di ‘ndrangheta. Per il resto, si tratta di figure del cosiddetto ceto produttivo e di uomini delle istituzioni.

Le porte del carcere si sono aperte per il presidente della Provincia di Crotone, e sindaco di Cirò Marina, Nicodemo Parrilla e per i suoi omologhi, Michele Lorenzano di Strongoli e Angelo Donnici di Mandatoriccio. Sono tutti accusati di associazione mafiosa. Per gli inquirenti rappresentano i volti di ‘ndrangheta nella politica dei palazzi.

L’inchiesta ha messo in luce gli affari criminali della famiglia Farao-Marincola le cui attività si sono nel tempo ramificate nel Centro Nord (Emilia, Lazio, Lombardia, Veneto) e in Germania (Hessen e Baden Wuttemberg). Lo Jonio crotonese si conferma, così, territorio spartito a metà: a nord i cirotano cariatesi, Farao-Marincola, a sud gli isolitani Arena e i cutresi Grande-Aracri. Il comprensorio a nord di Crotone, si legge negli atti, era ormai monopolio della cosca: vino, olio, aste pubbliche, aste boschive, aziende funebri. Tutto era controllato dai Farao-Marincola, infiltrati nei gangli della vita economica: dal porto cirotano al commercio del pescato, dalla raccolta dei rifiuti al business dei migranti oltre che il settore turistico e il gioco d’azzardo.Uno scenario definito dagli inquirenti di «pervasiva infiltrazione mafiosa».

Ma per gli inquirenti è il livello politico a fare un salto di qualità nella strategia criminale. Il presidente Parrilla sarebbe stato «uno dei rappresentanti della cosca nell’amministrazione comunale di Cirò Marina», e sindaco nel 2006 e nel 2016, secondo gli atti, grazie all’appoggio dei clan. Parrilla venne eletto un anno fa con il 62% con la lista Prossima Crotone, movimento che fa riferimento alla consigliera regionale Flora Sculco e al padre Enzo – che attualmente appoggia il governo regionale a trazione dem di Mario Oliverio, ma in provincia e nel comune capoluogo (governato anch’esso dagli «sculchiani») rema contro il Pd. Per Flora Sculco ora si vocifera di un seggio sicuro in quota dem alle politiche.

Tra le attività della holding mafiosa, riassunte in più di 1.300 pagine dalla Dda, la politica avrebbe avuto un ruolo centrale. Servivano uomini nei posti giusti e la provincia pitagorica ne sarebbe stata disseminata. Parrilla si sarebbe seduto sull’ambìta poltrona anche grazie alle «pressioni ’ndranghetiste esercitate da Giuseppe Sestito (uno dei plenipotenziari della cosca, ndr) e Francesco Tallarico sui consiglieri comunali della provincia specie su quelli di Casabona».

Ma nello Stige di Cirò sono affondati anche il vicesindaco Giuseppe Berardi (in consiglio da dieci anni), il presidente del consiglio comunale Giancarlo Fuscaldo, (nei guai per la concessione della piscina comunale), l’ex sindaco Roberto Siciliani e il fratello Nevio, già assessore. Accade lo stesso a Strongoli. Qui nel mirino finisce il sindaco Michele Laurenzano (Pd). Il ruolo di Laurenzano è più sfumato rispetto a quello ipotizzato per Parrilla, ma avrebbe fornito «un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo ai componenti del sodalizio».

In manette pure il vicesindaco di Casabona, Mimmo Cerrelli (con il duplice ruolo di amministratore «docile» e imprenditore disposto a partecipare alla «bacinella» del clan), il sindaco di Mandatoriccio, Donnici (Pd), il suo vice Filippo Mazza (che ha la delega ai lavori pubblici) e l’ex vicesindaco di san Giovanni in Fiore, Giambattista Benincasa.

E a 55 giorni dalle elezioni politiche pesano come un macigno le parole del procuratore aggiunto, Vincenzo Luberto: «Da calabrese, vista la situazione, vi dico che siamo sull’orlo del baratro. Facciamo attenzione perché in Calabria è a rischio la libertà di voto».