Bill Cosby e Roman Polanski espulsi dall’Academy. Il comico afroamericano, che giovedì scorso era stato giudicato colpevole di assalto indecente aggravato, e il regista polacco, condannato per aver avuto rapporti sessuali con una minorenne, nel 1978, condividono da ieri la sorte di Harvey Weinstein, bandito l’autunno scorso dall’organo di rappresentanza più autorevole di Hollywood. L’espulsione di Cosby e Polanski è stata votata dal consiglio dei governanti con oltre due terzi a favore, come richiesto dal nuovo Codice di condotta che l’Academy ha varato il dicembre scorso. Sembra che Polanski potrà tenere il suo Oscar (vinto nel 2003, per Il pianista), ma il nome di Cosby (che di Oscar non ne ha vinti) è stato rimosso dalla Hall of Fame della Television Academy, come la sua statua che troneggiava nell’ingresso dell’edificio che la ospita.

Se la condanna di Cosby – che si riferisce a un solo episodio tra le decine di cui è stato accusato, ma porta su di sé l’ombra pesante di tutti gli altri – aveva lasciato presagire quest’espulsione, quella di Polanski è arrivata più a sorpresa, un bonus aggiuntivo da dare in pasto a un’opinione pubblica d’élite e a un sistema mediatico, sempre più desiderosi di azioni punitive come questa – ad alto contenuto simbolico ma non di grande sostanza.

Contro l’espulsione di Polanski, difeso fino a poco tempo fa da importanti esponenti del cinema internazionale (ma il gruppo si sta assottigliando su pressioni crescenti), ci sarà un appello, dicono i suoi avvocati e il suo agente: non gli hanno nemmeno dato modo di difendersi. Verrebbe spontaneo, in un’occasione come questa, giocare sulle differenze tra i due casi: un uomo accusato di aver drogato e poi violentato almeno una quarantina di donne, ancora impegnate in azioni legali ai suoi danni, e uno che ha già in gran parte scontato la pena per aver fatto illegalmente sesso con una minorenne consenziente che, tra l’altro, l’ha più volte perdonato in pubblico. In realtà, la differenza è forse meno importante dell’insidia che si annida dietro a questi plateali beau gestes, emblematici di una cultura della superiorità morale dove conta soprattutto –come con il bottone Unfriend di Facebook- allontanare da sé stessi la puzza dei «colpevoli».

Meglio se sono alla fine della carriera, come Cosby e Polanski, o se l’orbita del loro potere si è esaurita, come Harvey Weinstein. I legittimi cambiamenti strutturali richiesti dall’onda di Time’s Up hanno bisogno di sforzi, tempi e francamente anche di intelligenza ben superiori a questi linciaggi da tappeto rosso; a cosiddetti codici di comportamento o al terrorismo mediatico diretto a individui e/o istituzioni (leggere per credere il pezzo sulla «crisi» di Cannes uscito ieri sul Guardian) in corso. Che sono operazioni di facciata, quando non addirittura repressivo/censorie, orchestrate dai soliti poteri di sempre. Nessuna differenza se, in cima alla piramide c’è un uomo o una donna.