Bastano una notte e un giorno senza scadenza e si accumulano storie e visioni. Intanto a casa, questa casa bianca con parquet e finestre grandi senza persiane prestata per una settimana da un’amica di un amico, se chiudo gli occhi vivo uno spaesamento spazio-temporale: potrei avere ventinove anni come la proprietaria, essere una ragazza libera, non impegnata sentimentalmente, potrei aver scelto vivere a Berlino perché città piena di stimoli per i giovani attratti dalla creatività, potrei aver voluto tentare la fortuna nel mondo del cinema tedesco (invece che nell’impervio cataclisma di quello italiano). Niente di più facile: prendere una strada invece di un’altra, preferire il sentiero scosceso del giardino delle illusioni invece che la strada asfaltata della brava figlia di papà. Niente di più difficile, niente di più facile. Sognarlo oggi, dopo vent’anni, soprattutto.

Qui la nuova me si muove con disinvoltura nella funzionalissima metropolitana cittadina che ti conduce con un battito di ciglia in ogni angolo della città. Mi sento una farfalla, leggera come la fresca Katja di Min lilla sister (Sanna Lenken, in Generation) che smette di mangiare per scivolare alata sul ghiaccio sotto gli occhi di Stella, la sorellina cicciottella innamorata del maestro di pattinaggio. Non mi tolgo dalla testa Maria, la guerriera guatemalteca di Ixcanul (Jayro Bustamante, Guatemala, in concorso), diciassettenne indigena indomabile alle regole del progresso e del capitalismo, ma schiava inconsapevole della potenza del vulcano sotto il quale è vissuta.

O forse vorrei passare una notte dissoluta tra diciottenni indecisi sulla propria preferenza sessuale come in Beira-mar (Felipe Matzembacher e Marcio Reolon, al Forum), delicato racconto di formazione in un Brasile grigio, non godereccio, inusuale. Penso a Lucia e Marcelo che hanno così tanto da superare prima di arrivare al loro personale Grande Giorno in El incendio (Juan Schnitman in Panorama), film cileno basato sulla bravura dei due protagonisti: contorti, sfaccettati, verbosamente litigiosi sull’orlo, entrambi e sempre, di una crisi di nervi.
Crisi che potenzialmente fa capolino, come il ciglio dell’iceberg, in questi giorni davanti alla minima difficoltà: la chiave del portone che gira male (ma certo: è il numero civico sbagliato), non riuscire a raggiungere la sala giusta all’orario sbagliato, deludere il critico cinematografico idolo di una vita dicendogli che sono qui in veste di collega… Mi sa che devo arrendermi, questa vita alternativa non funziona: ho sempre quarant’anni, vivo da anni stabilmente nella mia città natale, scrivo con piacere ma, di solito, per professione, uso più gli occhi che la mano. Devo ricominciare a cercare una nuova prima volta. Ma sono fatalista: ce la farò.