Quante volte abbiamo sentito dire che si legge meno di un tempo, e che in particolare ragazze e ragazzi stanno perdendo la capacità di immergersi in un testo scritto senza lasciarsi distrarre dal bip di un messaggino in arrivo? Così tante che è impossibile contarle, ma evidentemente, per quanti allarmi accorati si lancino, il problema resta e peggiora. E dunque, parliamone ancora, prendendo come spunto due articoli usciti in questi giorni rispettivamente sulla Los Angeles Review of Books e sul Guardian.

A scrivere il primo è una giornalista, Robin Abcarian, che constata con sgomento la disaffezione della sua amata nipote undicenne verso i libri: “Per chi, come me, viene da una famiglia di insegnanti e di scrittori, è un grande dolore”, osserva Abcarian, che è andata in cerca di pareri autorevoli sperando di trovare una ricetta capace di infondere nella ragazzina il gusto per la lettura.

Fatica sprecata. “I nostri figli hanno un rapporto diverso con la parola scritta rispetto a noi che siamo cresciuti al tempo della macchina da scrivere. I bambini leggono molto in modo incidentale. Possono non amare libri come Il giardino segreto o Nancy Drew, ma sono programmati diversamente”, le ha detto Lori Ann Waldinger, esperta dei cosiddetti “bisogni educativi speciali” e convinta che “giocare ai videogiochi è leggere, guardare un film come Hamilton con i sottotitoli è leggere, usare una ricetta per fare dei biscotti è leggere”. Ed è andata pure peggio con Ann Steinberg, insegnante veterana in una scuola primaria californiana: “Combattere non serve a niente, bisogna ingoiare il rospo. I media e le informazioni arrivano così rapidamente su internet, e i ragazzi messaggiano tutto il tempo, sono abituati a ricevere le cose in modo compatto e veloce”. Né a Abcarian sono arrivati incoraggiamenti dalla lettura di How We Read Now, il libro più recente della linguista Naomi Wolf: “Gli studenti di oggi sentono subliminalmente che quando leggono su carta, sono tenuti a procedere più lentamente e a fare uno sforzo maggiore”. E non sia mai! Alla fine la giornalista si è consolata cercando su Google le “persone di successo che non leggono”: tra gli altri, il rapper Kanye West che si è definito “un orgoglioso non lettore”, perché preferisce “parlare alla gente e vivere una vita vera”. (Tutto il contrario del grande Vasco Rossi, per il quale – lo ha scritto di recente – “leggere è come frequentare un’altra mente, un altro universo possibile”).

Non è invece pronto a “ingoiare il rospo” Johann Hari, scrittore e giornalista anglo-svizzero che sul Guardian ha pubblicato un’anticipazione dal suo libro Stolen Focus: Why You Can’t Pay Attention, in uscita oggi da Bloomsbury. Anche Hari, che nel suo testo non parla tanto della lettura quanto del calo di attenzione continuativa da cui tutti siamo in qualche modo affetti, prende avvio dal caso di un suo figlioccio diciannovenne che non riesce a staccarsi dallo smartphone per più di pochi minuti neppure quando si trova a vivere un’esperienza – la visita a Graceland, la casa-museo di Elvis Presley – da lui molto desiderata.

Dopo avere intervistato neuroscienziati di vari paesi, Hari è giunto alla conclusione che gli sforzi individuali non bastano: “Proprio come il movimento femminista ha rivendicato il diritto delle donne al proprio corpo (e ancora oggi deve combattere per questo), credo che abbiamo bisogno di un movimento per l’attenzione con l’obiettivo di riappropriarci delle nostre menti. E dobbiamo agire con urgenza, credo, perché questo potrebbe essere come la crisi del clima, o la crisi dell’obesità – più aspettiamo, più sarà difficile”.

Il punto è: in quanti, chini sui loro piccoli schermi, lo seguiranno?