Sui negoziati in corso al WTO è piovuta una bomba: l’amministrazione Biden è favorevole a rinunciare ai brevetti sui vaccini anti-Covid. «Lo scopo dell’amministrazione – si legge nell’annuncio ufficiale – è di portare il maggior numero di vaccini sicuri ed efficaci al maggior numero di persone il più presto possibile».

La decisione molto probabilmente sbloccherà il negoziato, in stallo da sei mesi, intorno alla proposta di India, Sudafrica e un centinaio di paesi in via di sviluppo che chiedono di sospendere i brevetti farmaceutici per rompere i monopoli e sconfiggere la pandemia.

Dunque si tratta di una notizia di primaria importanza. Solo pochi mesi fa, sotto la guida di Trump, gli Usa erano i campioni del nazionalismo vaccinale che oggi permette loro avere la maggiore popolazione vaccinata al mondo. Le dosi distribuite negli Usa sono 146 milioni, circa un quarto di tutte le vaccinazioni effettuate sul pianeta. E adesso gli Usa guideranno il negoziato dalla parte dei “buoni”, molto probabilmente intestandosi una decisione storica.

Tuttavia, c’è il forte rischio che la svolta incida poco sulla lotta al virus e si riveli innocua per gli interessi delle case farmaceutiche statunitensi, di norma così influenti sulle strategie commerciali statunitensi.

Mentre la moratoria proposta da India e Sudafrica intende liberare dalla proprietà intellettuale anche i farmaci e le tecnologie diagnostiche, l’apertura dell’amministrazione Biden riguarda solo i vaccini. Ma copiare un vaccino a mRna (come Pfizer e Moderna) o a vettore virale (AstraZeneca e Johnson&Johnson) rimarrà anche in futuro un’impresa molto ardua, brevetto o no.

Questi vaccini sono basati su tecnologie interamente nuove. Per produrli su larga scala serve, oltre al brevetto, il know how indispensabile per progettare l’intero processo produttivo, dall’approvvigionamento delle materie prime fino all’infialamento. Q

ueste competenze oggi sono appannaggio di pochissime aziende e senza la loro collaborazione, il trasferimento tecnologico verso altre società sarà sostanzialmente impossibile. Saranno dunque le stesse aziende di oggi a decidere se e come allargare la capacità produttiva, anche dopo aver eliminato i brevetti.

Tuttavia, la notizia non va nemmeno derubricata a semplice propaganda del capitalismo “dal volto umano”. Intanto, liberare i vaccini dai brevetti è un primo passo senza il quale ogni possibilità di allargamento della produzione sarebbe stata impensabile. In secondo luogo, e questo è forse il risultato più importante, la decisione degli Usa segna una sconfitta ideologica dei fautori della proprietà privata sulle idee proprio in quanto non danneggerà gli interessi economici in campo.

Rimuovere i brevetti sui vaccini di Pfizer, Moderna & Co è possibile perché i loro profitti non si fondano (solo) sul monopolio, ma anche su una capacità di innovazione che non può essere facilmente imitata.

Quando un prodotto è davvero un passo avanti rispetto alla concorrenza l’imitazione non basta per colmare il vantaggio. Essere i più bravi in un settore ad alto tasso di innovazione garantisce prestigio e credibilità e attrae idee e talenti che valgono più di ogni monopolio. Gli economisti lo chiamano “vantaggio della prima mossa”, lo conoscono bene le aziende informatiche che oggi adottano un modello di innovazione “open source” prima riservato agli hacker ma più redditizio di quello “recintato” dalla proprietà intellettuale.

Dunque non è vero, come ritengono molti economisti conservatori, che senza i brevetti finisce lo stimolo ad innovare. Al contrario: i brevetti in campo farmaceutico servono soprattutto ad alzare artificiosamente il valore di prodotti ormai maturi, rendendoli inaccessibili ai più poveri. Lo dimostrano i crolli dei prezzi dei farmaci quando, scaduto il brevetto, diventano disponibili anche i “generici”.

Non a caso, Biden non rinuncerà ai brevetti sui farmaci anti-Covid sviluppati per combattere altre malattie (come il remdesivir, in origine un farmaco contro l’Ebola), quindi più “anziani” e riproducibili dalla concorrenza.

La decisione di Biden non implica dunque il superamento del capitalismo – figuriamoci. Ma mostra la praticabilità di un diverso modello di innovazione in cui le invenzioni creative e utili, oltre a garantire profitti, possano diffondersi più velocemente e farne germogliare altre senza attendere la durata ventennale dei brevetti. Gli anni a venire ci pongono problemi epocali da risolvere in fretta: oltre a una pandemia, occorrerà affrontare la crisi climatica e l’insostenibilità ambientale della nostra specie sulla Terra. Di buone idee a presa rapida avremo un gran bisogno.