Tra le organizzazioni criminali, Cosa Nostra possiede una propria peculiarità. Franchetti e Sonnino, già nel 1876, la definirono un’industria della violenza esercitata dai facinorosi della classe media. La mafia siciliana, infatti, si è sviluppata all’interno di una rete di potere le cui diramazioni si estendono all’economia e alla politica nazionale e internazionale.

In Lo Stato illegale. Mafia e politica da Portella della Ginestra ad oggi, (Laterza, pp.182, euro 18) Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte mostrano di possedere una piena consapevolezza di questa peculiarità. Dallo sbarco alleato del 1943 a Sindona, da Portella della Ginestra a Dell’Utri, Cosa Nostra si connota come uno degli attori essenziali del mantenimento degli equilibri politici dell’Italia contemporanea. Tuttavia, quando il libro passa ad articolare le categorie dell’industria della violenza, ci si imbatte in una rigidità e schematicità che spesso finiscono per pregiudicarne la fruizione da parte del lettore.

L’impianto analitico sviluppato dagli autori verte sul concetto di «poli-partito», ovvero la cointeressenza tra criminalità organizzata ed esponenti politici, un concetto sviluppato dal generale Dalla Chiesa nell’intervista rilasciata a Giorgio Bocca nel 1982. Caselli e Lo Forte vi ricomprendono le inchieste giudiziarie di cui si sono occupati come inquirenti. Finiscono così per insistere sulle inchieste relative ad Andreotti e Dell’Utri, e qualche perplessità non può non essere sollevata. Andreotti, secondo le sentenze, avrebbe favorito Cosa Nostra fino al 1980. Il modo in cui tali favori sono avvenuti, tuttavia, non è chiaro.

SE DA UN LATO potremmo accettare che il ritardo nel riconoscimento del reato di associazione di stampo mafioso e dell’approvazione della Rognoni-La Torre siano dovuti agli appoggi che Cosa Nostra godeva da parte di alcuni esponenti politici siciliani e nazionali, dall’altro lato non si possono non evidenziare alcune contraddizioni. Ad esempio, Lima, referente di Andreotti in Sicilia, fu l’antesignano del compromesso storico, promuovendo questa esperienza nell’isola con l’appoggio significativo del Pci locale. Se la logica ferrea del poli-partito costituisce un parametro interpretativo adeguato, bisognerebbe allora chiarire se il Pci ne facesse parte o no. Lo stesso dicasi per l’astensione del Pci alla Camera nel 1983, che impedì l’incriminazione di Andreotti per il caso Sindona. Sorge più di un dubbio sulla meccanica del poli-partito, anche alla luce del fatto che fu proprio sotto il governo Andreotti VII che Giovanni Falcone si trasferì a Roma per andare a lavorare alla Direzione Generale degli Affari Penali e promuovere l’istituzione della Direzione investigativa antimafia (Dia) e della Procura Antimafia.

POICHÉ Falcone e la mafia erano agli antipodi, bisognerebbe quindi parlare di fluidità, di funzionalità, di cointeressenze a breve termine più che di alleanze organiche. In questo senso, è evidente che il concorso esterno in associazione mafiosa, fiore all’occhiello di alcune inchieste, andrebbe riparametrato, onde evitare malintesi che, a volte, degenerano in violazione del principio della presunzione di innocenza.
La mafia assurge alla ribalta nazionale in seguito alla mobilitazione della società civile, avvenuta anche in seguito al declino dell’emergenza terroristica nei primi anni Ottanta. È in seguito a questo processo che gli attori politici costruiscono l’antimafia come nuova arena di lotta.

ALL’INTERNO di questa cornice, intervengono poi altri elementi che renderanno Cosa Nostra più vulnerabile: la guerra di mafia, che favorisce le defezioni dei pentiti, e il nuovo clima scaturito dalla caduta del Muro. Diviene così possibile cogliere i diversi aspetti delle lotte di potere, lontano dalle semplificazioni schematiche che raffigurano lo Stato come un ente monolitico in lotta contro la mafia. All’interno dell’arena politica esistono sfumature diverse, che spaziano dalle rendite di posizione individuali, agli equilibri di potere consolidati fin dal dopoguerra. Per questo motivo, altre inchieste, come quelle sulla trattativa (sul cui esito non pochi autori dubitano) potrebbero essere lette come episodi frammentari, che coinvolgono segmenti dell’apparato statale, piuttosto che tentativi di stipulare alleanze organiche.

Infine, rispetto al 41 bis, ci si può chiedere quanto è stato effettivamente efficace rispetto alla criminalità organizzata? Avrà intaccato il braccio militare di Cosa Nostra, ma la camorra e la ’ndrangheta hanno conquistato la scena internazionale. La rivista Fortune le annovera tra le prime quattro holding criminali per fatturato. Malgrado esistano misure afflittive, la cui lesività dei diritti umani è stata recentemente ribadita anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In questo senso, l’antimafia o è lotta diffusa per l’emancipazione collettiva, o non è.