Al cinema piace la musica, la ama infatti. Ci sono i grandi momenti scritti dai grandi compositori come le opere liriche del West di Ennio Morricone; l’ansia dei violini di Bernard Hermann che tagliano il buio come pugnali e la meraviglia e il terrore del mare profondo di John Williams. Ci sono anche quei registi che con la musica hanno un rapporto molto intenso, come Charlie Chaplin che oltre a comporre tutte le parti dei suoi film, ne componeva anche i soundtrack; Martin Scorsese fra documentari e concerti filmati o Clint Eastwood che suona il pianoforte nelle colonne sonore dei suoi film e cita il Jazz come suo primo amore. La musica contraccambia in parte ma i cantanti che hanno provato a recitare lo hanno fatto ottenendo risultati misti – pensate a Madonna, Mick Jagger o Sting! Di recente si è visto un trend inconfondible di una seria di biopic che seguono la stessa traiettoria in tutte le storie. Si inizia già dal primo atto con il musicista lungo una discesa ripida e di solito con un’arma da fuoco in mano. Los Angeles, 1995: Nina Simone (Zoa Saldana) chiede soldi ad una sua ex-casa discografica, ed estrae la pistola: ‘Dammi i miei soldi!’ Manhattan, tardi anni Settanta: Miles Davis (Don Cheadle) chiede a Columbia Records quello che gli spetta armato di pistola. James Brown (Chadwick Boseman) in stato di ebrezza spara un colpo con il suo fucile perché qualcuno non ha tirato l’acqua del bagno. Questi artisti erano i grandi del loro tempo; neri e orgogliosi, non solo maestri del loro genere, ma i fondatori del soul, jazz e funk. Ma cominciamo con i loro fallimenti. I successi di Nina compaiono nei titoli di testa in un montaggio di copertine di dischi e storie tratte da giornali. Gli anni produttivi esistono per noi solo in flashback, visti retrospettivamente, ricordati, già bruciati da droga, alcol e rapporti di abuso. Si potrebbe commentare così: «Va bene, ma erano davvero così, questi musicisti. Se ci sono dei cliché, non è mica colpa nostra». Ma Miles Ahead inventa (o improvvisa) tutta la parte degli anni Settanta, aggiungendo un giornalista (inventato) di Rolling Stone (Ewan MacGregor) e varie sparatoie. Get on Up: La storia di James Brown fa salti esuberanti nel tempo e rinuncia al realismo, che, dopotutto, non è abbastanza funky. L’artista tormentato fa parte della nostra immaginazione, e forse offre a noi, il pubblico, un conforto: guardate questi grandi talenti e quanto sono tristi alla fine. Sono come i vincitori della lotteria che dimostrano che i soldi non sono un bene quando arrivano troppo velocemente, quando sono troppo facili. Meglio non averli. L’eccesso di genio diventa solo eccesso puro. Inoltre, le storie di autodistruzione sono molto più eccitanti della storia di un successo senza ombre. Katy Perry vivrà fino a novant’anni e forse più ma Amy Winehouse muore a 27 anni. Il documentario di Asif Kapadia Amy racconta la sua vita e fa vedere dall’interno una vita vissuta dalla gioventù al successo fino al disastro finale. Il bello non è un flashback e la tragedia arriva – anche se non inaspettata – solo alla fine.