«Ma come? Mi avete detto che ognuno avrebbe sciolto le sue organizzazioni. E invece non è stato così. E adesso volete anche fare il tesseramento?». Allo scoccare della terza ora di riunione, Piero Grasso ha un dubbio. Gli avevano detto che il «partito unitario» era cosa fatta. Lo aveva annunciato prima del voto, senza provocare l’entusiasmo degli elettori, si saprà poi. E invece oggi scopre che non è tutto così semplice e rapido.

L’ILLUMINAZIONE avviene martedì pomeriggio a Roma, a via Zanardelli, sede di Mdp. La «sberla» (così l’ha definita Luciana Castellina sul manifesto) è stata forte, per la prima volta – a una settimana dal voto – Liberi e uguali riunisce il suo quartier generale. Presenti Grasso, Boldrini, Speranza, Fratoianni, Muroni, Pastorino (unico eletto di Possibile, Civati non era a Roma). È vero che all’indomani della sconfitta i tre segretari e Grasso hanno scritto ai militanti per invitarli a fare le assemblee territoriali. Ma è altrettanto vero che i tre partiti procedono in ordine sparso: Sinistra italiana ha tenuto la sua direzione e presto terrà l’assemblea nazionale, Possibile ha convocato gli Stati generali sabato 17 a Bologna (dalla mattina al Nuovo Cinema Nosadella). Mdp invece lascia decantare la situazione. Giusto qualche assemblea locale, se «i compagni» chiamavano.

L’OBIETTIVO DELLA RIUNIONE è dare subito un segnale di esistenza, unità e rilancio. Prima che il dibattito interno si avviti a colpi di interviste sui giornali: Civati, D’Alema, Fratoianni, Bersani. Si abbozza una road map: a metà aprile assemblea dei delegati (quelli che il 3 dicembre sono stati convocati per acclamare Grasso), avvio dello scioglimento delle organizzazioni, in autunno costituente del nuovo soggetto.

COME UN TEMPO fece Giuliano Pisapia (ma il paragone fa imbufalire) anche Grasso oggi mette sul piatto un «aut aut»: nessuna «federazione», o unità o lascio perdere. Laura Boldrini è anche più radicale: «Bisogna sparigliare, rivolgersi a un campo largo. Ci vuole il massimo grado di apertura alla società. Dobbiamo rinunciare ad ogni assetto precostituito. Serve un anno zero. Altrimenti non siamo credibili. Allora è meglio lasciare perdere».

LA FATIDICA ANALISI della sconfitta è complessa e sofferta. Per Fratoianni il principale guaio è essere stati percepiti come «un residuo di vecchio Pd ante Renzi». Stessa la lettura da Pippo Civati: «Non eravamo considerati abbastanza alternativi. Ho passato la campagna elettorale a rispondere a domande su D’Alema». Ma quello che brucia di più al leader di Possibile, rimasto fuori dal parlamento (non correva in un collegio sicuro) è il predicare bene e razzolare male: «Bisogna essere coerenti tra parole e fatti. Noi ne discuteremo sabato».

SPERANZA INVECE ripete come un mantra: «Andiamo avanti». Ma verso dove? Fratoianni propone un’apertura al dialogo con i 5 stelle; fin qui non riamato. Boldrini contraria. In Mdp molti temono la mazzata finale delle prossime amministrative e propongono l’alleanza con il Pd. Enrico Rossi, presidente della Toscana, mette in guardia: «Rischiamo di perdere le ultime città amministrate dal centrosinistra». In Friuli Venezia Giulia Mdp tenta l’accordo con il Pd, ma dagli alleati arriva il niet: il candidato è un renziano (Bolzonello) e per Si e Possibile bisogna segnare la discontinuità dall’amministrazione Serracchiani.

MA IL NODO DEL PD è più profondo. Un dirigente di Mdp allarga le braccia: «Se Zingaretti scende in campo alle primarie, l’80 per cento dei miei torna di là».

LA SCONFITTA NON AIUTA. Le poche cariche istituzionali (un capogruppo alla camera, se verrà concessa la deroga, i vice, il tesoriere, forse qualcosa al senato) saranno distribuite con il bilancino. Pensando all’equilibrio della delegazione che sarà consultata al Colle. E tenendo conto del papabile alla leadership. Sperando che i militanti siano d’accordo.
DI LEADERSHIP non si parla apertamente, ma dopo aver definito un’identità politica, si passerà a chi ne è «il programma vivente» (così Vendola disse di Grasso). «Grasso resta il punto di riferimento, il federatore. Non c’è il tentativo di scaricare su di lui responsabilità che non ha», si spiega. C’è un però: «È chiaro che dall’anno zero che ci aspetta verrà fuori anche una nuova leadership, che deve nascere da un processo partecipativo e non pattizio. Potrà essere anche una leadership plurale».