arrivare il momento di rivederci tutti su strada per dire forte e chiaro cosa vogliamo. Perfetto. Va tutto benissimo, la gente si sta coinvolgendo. Ma cosa vogliamo? A me la domanda sembra retorica, ma il senso di una grande manifestazione per la mobilità è anzitutto radunare il massimo numero di persone genericamente interessate e aiutarci tutti insieme a mandare un messaggio al resto della società. Qui ci sono alcuni distinguo da fare, e la cosa non appare banale visto che anche nel gruppo organizzatore proprio in questi giorni si è aperta una discussione proprio su questo punto. Le idee sono chiare, e d’altronde alcuni tra noi le divulgano (e dimostrano con il loro stile di vita) da parecchi anni. Altri da meno anni ma si può dire che abbiano agganciato il senso dell’agire in tempi ultrarapidi, dopo essere usciti dal vecchio mantra «più piste ciclabili per tutti» e chi s’è visto s’è visto. Però ripeto: l’obiettivo non è quello di tirare fuori un libro di buoni propositi ma quello di ottenere il cambiamento sperato.

Bisogna far capire cosa vogliamo.

Riporto qui alcune considerazioni uscite dalla discussione tra gli organizzatori. Non ci saranno nomi ma solo brani di ragionamento. Ne scelgo tre che ritengo abbastanza centrati.

«I ciclisti sono una minoranza, ma attiva e motivata. Le minoranze devono lottare sempre con movimento e conquiste progressive. Non esiste alternativa, non ci saranno rivoluzioni e non arriveranno persone al potere in grado di trasformare di colpo le cose per la semplice ragione che quel potere non c’è. La ciclabilità e in generale la mobilità urbana sono fuori dall’agenda politica nazionale di tutti i gruppi politici, delle tecnocrazie e degli organi di informazione. Le manifestazioni servono a far crescere il rango di attenzione nazionale della ciclabilità e vanno fatte. La pratica amministrativa è complicata. Burocrazia, costruzione del consenso, carenza di soldi, dirigenti stronzi, legislazione inadeguata, assenza di cultura tecnica, sono tutti fattori reali e concreti da affrontare quando si amministra una città. Non vanno esorcizzati, vanno affrontati e per farlo serve formazione, conoscenza, abilità acquisite».

«Il 28 dobbiamo lanciare un nuovo messaggio. Facciamo una proposta veramente inclusiva, e non solo nei confronti di chi va in bici, a piedi o con i mezzi, lanciamo una proposta a chi va in automobile. Mandiamo un messaggio di pace e inclusione, facciamoci primi promotori di un nuovo patto per le strade delle città».

«Il punto chiave per me rimane la comunicazione di queste nuove istanze alla burocrazia immobile dei dipartimenti, dei municipi, della Polizia Locale, ecc. Serve una conferenza al giorno finché non avremo raggiunto tutti i livelli dell’amministrazione e gli avremo fatto comprendere esattamente dove dobbiamo arrivare. È un lavoro ciclopico e dobbiamo esserne consapevoli».
Da questi tre interventi sintetizzo alcuni focus: siamo una minoranza e dobbiamo lottare per dare rilievo al nostro punto di vista; è problematico ma non bisogna esorcizzare i problemi, semmai affrontarli; la proposta deve essere inclusiva e lanciata al resto della società (la maggioranza); è fondamentale il lavorìo culturale quotidiano.

Di mio aggiungo che il fine ultimo è la trasformazione delle nostre città in luoghi maggiormente vivibili, con strade meno spaventose da frequentare, spazi alle persone e non ai mezzi, miglioramento dell’aria che respiriamo e piacevolezza della giornata che affrontiamo mentre ci muoviamo. Per me è tutto qui. Venite il 28 aprile a Roma a dirlo chiaro e forte.