Un anno fa la Toscana metteva in campo una legge di riordino del suo sistema sanitario pubblico. La stessa cosa veniva fatta, più o meno con gli stessi postulati e le stesse modalità, dalle altre regioni (caso a parte la Lombardia). Questi riordini, chiamati ampollosamente “riforme” rappresentano l’evidenza del senso comune della sanità oggi, cioè sono in pratica la risposta un po’ disperata delle regioni alle politiche di definanziamento del governo e sono per lo più interventi sulla gestione per il contenimento dei costi.

Queste “riforme” pongono un reale problema politico. E il tema di fondo è: fino a che punto le regioni possono mettere in discussione le grandi leggi di riforme nazionali licenziate dal parlamento, fino a che punto è lecito per problemi “bilanciofrenici” ridiscutere l’universalità dei diritti (art 32) e quindi della norma sanitaria che stabilisce, a scala nazionale, le caratteristiche di fondo del sistema di tutela pubblica.

Tali riordini, senza nessuna eccezione, hanno intrinsecamente uno spiccato carattere contro riformatore perché, razionalizzazioni a parte, in pratica smontano, rivedono, riducono i loro storici sistemi di tutela ma senza farli evolvere cioè sacrificandone alcuni postulati di fondo . Essi funzionano un po’ come il cursore del nostro televisore che in un range +/- è come bloccato e permette di regolare il volume solo in basso. Cioè si tratta di leggi per lo più pensate per decostruire non ricostruire e quella della Toscana non fa eccezione.

Ho già avuto modo di sottolineare che tutta l’operazione di riordino consisteva nel ridurre il governo della sanità a pura amministrazione dei costi. Considerando che gli accorpamenti territoriali previsti rispondevano ad una sorta di logica panottica, cioè di centralizzazione del controllo e che tali accorpamenti mettevano di fatto in discussione l’impianto territoriale decentrato del sistema, quindi il grado di prossimità tra territori bisogni e servizi. Obiettavo anche sul fatto che il riordino non era pensato per garantire omogeneità dei risultati di salute ma solo per garantire sostenibilità al sistema attraverso l’uniformità nelle spese indipendentemente dai risultati di salute. Quella proposta a me appariva di fatto come una banale imposizione di un punto di vista autoritario, quello del presidente Rossi, che si giocava la carta dell’emergenza finanziaria spacciando la sua proposta come l’unica possibile, quindi come soluzione obbligata senza darsi pensiero di consultare i suoi cittadini e gli operatori.

A tutto questo successivamente i cittadini toscani si sono ribellati. A mano a mano sono sorti ovunque dei comitati, che a loro volta si sono organizzati in un coordinamento regionale, fino a mobilitarsi per raccogliere le firme necessarie a promuovere un referendum abrogativo. 55.614 cittadini toscani oggi chiedono che sia indetto un referendum per abrogare questa legge di riordino( Legge 28/2015), considerata ormai per quello che è: una contro-riforma della sanità toscana. Ne sarebbero bastate solo 40000.

Ha preso forma così una fronte politico che ha aggregato trasversalmente tutte le forze di opposizione della giunta Rossi ma anche la maggior parte dei sindacati (confederazioni a parte) e molte associazioni civili. Per Rossi oggi questo imprevisto referendum costituisce una minaccia politica non sottovalutabile al punto da indurlo a correre subito ai ripari. Intervenendo a campi di Bisenzio ad un laboratorio sulla riforma sanitaria della Toscana (“La sanità di tutti”, 7 novembre 2015) organizzato come prima risposta proprio al referendum, i toni appaiono apparentemente molto diversi. Il presidente Rossi finalmente scopre ex-post le persone e parla di «senso di appartenenza alle persone», delle idee che «camminano con le gambe delle persone» fino a chiedersi «come si può pensare di innovare senza coinvolgere le persone», parla della sanità come «un’infrastruttura civile decisiva per il benessere e la felicità del nostro Paese» e, esagerando un po’ con l’immodestia e l’autostima, dice che «la sanità Toscana è stata portata a esempio per salvare il Servizio sanitario nazionale, la sanità in Italia è stata salvata anche grazie alla Toscana». Ma, alla fine, il governatore ribadisce che la sfida è «rendere compatibile la qualità del servizio con le risorse limitate» e, senza remore, chiude il discorso così: «Faccio appello a tutti voi: se spiegate, il corpo e il cuore della sanità possono capire e reagire bene». Come a dire la mia legge non si tocca va solo spiegata per quella che è se la spiegherete come voglio io le persone non voteranno a favore dell’abrogazione della legge.

Io mi auguro che Rossi perda il referendum perché deve imparare che le persone esistono prima che si decida autoritativamente sui loro diritti, che i riordini sono false soluzioni (adattare sempre di più i diritti ai limiti di bilancio uccide i diritti). E che è possibile un nuovo riformismo (trasformare limiti in possibilità quindi cambiamento senza limiti). Nello stesso tempo auguro ai promotori del referendum di vincerlo ma dico loro che se pensano di ristabilire le cose a come erano prima si sbagliano, i problemi della sanità esistono e vanno affrontati in un modo diverso da quello scelto dal presidente della Toscana. Nel caso di una vittoria, i promotori del referendum dovranno poi dimostrare che esiste un altro modo di intendere il cambiamento in sanità.