Ci sono spazi che più di altri contribuiscono a rafforzare il concept di una mostra d’arte contemporanea. Non solo ospitano, talvolta arrivano a interferire con le opere stesse e il pensiero curatoriale che stimola il confronto tra artista e pubblico. Azione e reazione si sostengono nel rapporto privilegiato con il luogo, soprattutto quando la pratica installativa è site specific come alcune opere della collettiva Italian Twist, curata da Elisa Carollo e Mattia Solari (fino al 26 settembre), dove situazioni soggettive/oggettive come condizionamento, controllo, mancanza di libertà, sensazione claustrofobica e dilatazione temporale trovano un’evidente corrispondenza nel dialogo con la dimensione spaziale delle Gallerie delle Prigioni a Treviso, ex carceri asburgiche ora sede della Fondazione Imago Mundi.

La mostra prevede un ulteriore sguardo che si amplia con la selezione di opere dell’Imago Mundi Collection (poste negli appositi display disegnati da Tobia Scarpa) dedicate all’Italia: Praestigium Italia I e II, Campania e Sicilia. Un percorso che, come affermano all’unisono i due giovani curatori, stimola «cortocircuiti, scatti creativi, ribaltamenti di prospettiva, nuove folgorazioni estetiche», nel guardare alla produzione creativa di artisti italiani nati tra gli anni ’80 e ’90 – Paola Angelini, Ruth Beraha e Allison Grimaldi Donahue, Gianluca Concialdi, The Cool Couple, Giuseppe Di Liberto, Irene Fenara, Christian Fogarolli, Riccardo Giacconi, Diego Gualandris, Iva Lulashi, Ruben Montini, Ludovico Orombelli, Fabio Roncato, Alice Ronchi, Alessandro Simonini, Marta Spagnoli, Serena Vestrucci – con l’eccezione di Luca Trevisani e Marinella Senatore, entrambi della fine degli anni Settanta. Per la precisione l’installazione partecipativa di Marinella Senatore Bodies in Alliance, concepita per la città di Treviso e collocata nella piazzetta della Galleria delle Prigioni, non rientra propriamente nella selezione di Italian Twist, ma idealmente introduce a questa visione poliedrica e multidisciplinare con il suo messaggio positivo di riappropriazione e condivisione di uno spazio comune all’insegna della socialità. È proprio Senatore a parlare di celebrazione di una cittadinanza che ci si augura possa, superata definitivamente la crisi pandemica, portare gli individui a riabbracciarsi, magari anche a salire sul podio rosso che fa da base alla luminaria con la sua scritta inequivocabile: in italiano, corpi in alleanza.

Procedendo per libere associazioni non sfuggono certe assonanze, alcune magari frutto di un’apparente casualità, tra le diverse opere, a partire proprio dal rosone luminoso che Marinella Senatore ha estrapolato, rivisitandolo in una chiave personale, dalla cultura popolare dell’Italia del Sud per trasferirlo nella ritualità dell’arte con la forma circolare del sottopentola di paglia intrecciata sulla stuoia, un dettaglio dell’opera Dumpster Dining di Gianluca Concialdi. A quella stessa cultura tipicamente del sud che unisce i paesi del Mediterraneo in una sorta di koiné, guarda l’oggetto domestico che popola l’orizzonte visionario di Concialdi nella frequentazione quotidiana del suo quartiere, la Vucciria a Palermo.
Ci sono poi le zucche o altri ortaggi (Ciotole del tempo) lasciati essiccare da Luca Trevisani e posti nelle teche-reliquiari di vetro su basamenti di legno e foglia d’oro 24 carati che rimandano ad un’idea di catalogazione ed esposizione museale come nelle collezioni ottocentesche di scienze naturali. Nell’ingegno di molte popolazioni (pensando all’Africa Occidentale o anche al Sudamerica) analoghe zucche sono impiegate ancora oggi come contenitori, magari dipinte o decorate con intagli che attribuiscono loro unicità e preziosità.

Questo confronto diretto con la natura appartiene anche alla poetica di Fabio Roncato che congela l’attimo plasmando le sue sculture non con le mani, ma gettando nelle acque del Brenta la cera bollente che proprio per via della pressione si congela catturando il movimento nelle sue forme aerospaziali di futurista memoria, ma potrebbero ricordare anche i drappeggi barocchi. L’idea dell’artista-medium, attivatore del processo di cui è parte imprescindibile l’elemento dell’imprevisto (o comunque di ciò che sfugge al controllo), appartiene anche alla pratica di Serena Vestrucci che lascia che le sue sculture di cera d’api in cera dalla forma organica (Non siamo soliti ricordare le cose che accadranno) sotto il calore costante delle lampade riscaldanti a infrarossi 250 W (usate solitamente per allevare i pulcini) perdano lentamente il loro carattere di riconoscibilità per lasciar spazio ad un magma che non manca di poeticità.

«Di base non è una mostra cronologica, stilistica o tematica – spiega Mattia Solari – Mi piace pensarla come un carotaggio che va a scavare sotto la superficie di quello che si vede e raccoglie delle prove di strati di eventi, cose successe. È stata anche una contingenza di incontri o non incontri che abbiamo avuto con gli artisti».
La coesistenza di opere pittoriche, scultoree, fotografiche, sonore, installative portano ad un costante coinvolgimento e stravolgimento della visione – i «twist», contrappassi o cortocircuito di idee – che implementano la gamma di argomenti di disquisizione, tra cui giudizio e tortura (Alessandro Simo), confronto la tradizione (Diego Gualandris, Paola Angelini), amore asfittico (Ruth Beraha e Allison Grimaldi Donahue), pregiudizi sessuali e rivendicazioni (Ruben Montini), disagio mentale (Christian Fogarolli), assoggettamento psicologico (Giuseppe Di Liberto), resistenza/libertà/erotismo (Iva Lulashi) ed altri ancora ascrivibili sia alla sfera del singolo che della collettività.
Particolarmente inquietante è il ragionamento sull’attuale condizione di potere/controllo dell’essere umano, tra sorveglianza e intelligenza artificiale, stimolato da Irene Fenara con una selezione di lavori della serie Supervision – immagini provenienti da videocamere di sorveglianza, estratte dal flusso continuo che viene cancellato ogni 24 ore, ottenute hackerando il sistema di registrazione – e dal duo The Cool Couple (Niccolò Benetton e Simone Santilli) con Way Out in cui il jammer, costruito appositamente per interferire sulle frequenze e interrompere le trasmissione entro l’area che circonda l’opera, è collocato all’interno di una scultura metallica avvolgente e intrigante.
La dialettica degli opposti torna a sottolineare l’ambiguità dei concetti di libertà e controllo, lì dove il confine tra lecito e illecito, visibile e invisibile, privato e pubblico diventa ancora più sottile.