Corto Dorico, festival anconetano del cinema breve, ha superato il giro di boa dei dieci anni, oltre due lustri portati benissimo dando dimostrazione dei miracoli di cui è capace l’associazionismo fatto bene: trovare fondi, luoghi, tirare dentro le istituzioni e dare anima alle città. Nei tempi di magrissime vacche Corto Dorico, nato come prima creatura della prolifica associazione culturale Nie Wiem, ha saputo farsi festival polifonico tirando dentro oltre al Comune di Ancona, il contributo di Unione Europea, Mibact Direzione generale per il Cinema, Regione, Fondazione Marche Cinema Multimedia e ottenendo il il sostegno di Amnesty International Italia, oltre a quello di istituti di credito, scuole, Università e partner privati; oltre 50 in tutto, uniti all’apporto volontario di oltre 40 professionisti e comuni cittadini; inoltre per pareggiare i conti, il Festival, quest’anno si è anche lanciato in un’efficace campagna di crowdfunding.

La premessa contabile è doverosa perché davvero il Festival incarna un modello di politica culturale e di collaborazione virtuosa non solo tra privato e pubblico ma anche tra i potenziali «pubblici» del prodotto culturale (in linea con quanto tratteggiato nel poderoso saggio a cura di Francesco De Biase pubblicato qualche mese fa dalle edizioni Franco Angeli intitolato appunto I pubblici della cultura.Audience development, audience engagement).

L’entusiasmo degli organizzatori ha contagiato nelle dodici edizioni gli amici del festival incontrati lungo la strada e, come nella favola Cigno appiccica o L’Oca d’oro dei fratelli Grimm, sono rimasti attaccati a Corto Dorico non solo gli sponsor e i sostenitori ma anche gli artisti come nel caso di Daniele Ciprì da anni legato al festival e da questo suo direttore artistico.
«Ho conosciuto Corto Dorico qualche anno fa – ha detto il regista – per caso, e ne sono rimasto semplicemente affascinato. Corto Dorico è un festival straordinario, ricco di idee e sogni, portavoce di un cinema d’autore e indipendente, un festival giovane fatto da giovani che vogliono comprendere e sperimentare. Per questo motivo dalla Sicilia sono arrivato ad Ancona».

Chissà che non tocchi prima o poi anche a Matteo Garrone (anche lui lanciato da un cortometraggio: Silhouette, che gli valse 1996 il Sacher d’oro e dunque l’attenzione di Moretti) special guest dell’ultima edizione del festival che gli ha dedicato una larga retrospettiva da Terra di Mezzo a Tales of Tales – Il racconto dei racconti proiettato ad Ancona in lingua originale: storie barocche del campano Basile raccontate in inglese da un cast internazionale (in cui ruolo importante giocano i paesaggi italiani e le creature realizzate da curatori effetti speciali anch’essi italiani – tra loro il marchigiano Carlo Diamantini).

E uno sceneggiatore caro a Garrone, Massimo Gaudioso, è tra i giurati che con Ugo Gregoretti, Lidiya Liberman e Luca Vecchi, hanno giudicato, nella finale di sabato, gli ottimi corti finalisti in gara. Grande consensi ha riscosso Tommaso Pitta, italiano di scuola londinese, con due opere in gara, How I didn’t become a piano player (premio del pubblico), disavventure di giovanissimo nerd della stessa pasta di quelli che si inventa Wes Anderson, e All the pain in the world (premio giovani e critica) che appunto tutto il dolore del mondo spiattella con rabbia e comicità.

In finale ,per volere del pubblico che lo ha acclamato, senza premi ma con onore Nel Silenzio di Lorenzo Ferrante cortometraggio quasi muto su una storia di struggente fratellanza on the road anche se per poco, protagonisti un giovane in stato vegetativo e il di lui fratello. Ludi florales di Alessandro Bavari è elegante gioco di stop motion e time lapse dai titoli di coda botanici, Varicella di Fulvio Risuleo sembra comico ma in effetti è un docu-horror sulle Mamme Degli Altri Bambini più spaventose di quella body builder di Mona Blonde, firmato dall’unica donna in finale, Grazia Tricarico. Six di Frank Jerky, parla di ragazzini e armi accessibili nella noia delle periferie metropolitane ed è stato premiato per l’impegno sociale anche se E.T.E.R.N.I.T. di Giovanni Aloi poteva meritarlo.

La giuria ha dato il suo riconoscimento a un lavoro altrettanto crudele ma delicato, Bellissima, in cui in parte riecheggia il tema della pellicola di Visconti del ’52 che porta il suo stesso titolo: dramma femminile e ansia da prestazione su canoni estetici qui con happy end e destino benevolo che premia chi riesce a uscire dalle prigionie che si è dato da sè.