Mentre a New York si è aperta la prima settimana delle sfilate del «grande cambiamento delle Fashion Week», come sarà ricordata questa sessione della moda per l’inverno prossimo, a Londra, che sta per aprire le sue passerelle, sta riscuotendo un enorme successo Vogue 100: A Century of Style, la mostra che si svolge alla National Portrait Gallery (fino al 22 maggio) per celebrare i cento anni dell’edizione inglese della rivista più glamour del mondo. Il luogo non è una scelta fatta a caso: la National Portrait è il museo di Londra che riesce a fare un riassunto straordinario della storia inglese, con re, regine, duchi e principi che si mostrano dai quadri e raccontano epoche, politiche e cambiamenti.

Con le foto degli archivi, tra quelle pubblicate e quelle inedite rimaste per anni nei cassetti, la mostra racconta l’evoluzione degli ultimi cento anni non solo della moda ma di quella cultura che ha fatto di Londra un centro di scambio tra l’Europa e l’America.
La prima edizione di Vogue nasce a New York nel 1892 per volere dell’editore Arthur Baldwin Turnure che nel 1909 deve venderlo all’editore Condé Monterose Nast. Nel 1916, nasce l’edizione inglese perché con lo scoppio della Prima guerra mondiale diventa difficile la spedizione da New York a Londra.

Nel 1920 nasce l’edizione francese, Condé Nast muore nel 1942, nel 1959 Samuel I Newhouse Sr acquisisce il controllo della casa editrice e continua lo sviluppo europeo prima con l’edizione italiana, nata nel 1964 con l’acquisizione della rivista Arianna, e poi con l’edizione spagnola e tedesca. Nel frattempo, Vogue UK continua a percorrere una strada autonoma, forte soprattutto della possibilità di raccontare, grazie al suo programma editoriale, l’evoluzione dei tempi mescolando la moda con le altre creatività, dalla letteratura alla pittura alla musica, senza alzare steccati di confine tra una cultura e l’altra.

La mostra alla National Portrait stupisce perché il paragone tra l’oggi e il passato è impietoso. Vedere le foto scattate dai più grandi fotografi della storia, come Cecil Beaton e, più tardi, Helmut Newton, che non fanno molta differenza tra gli abiti e Marlene Dietrich, Henri Matisse, Francis Bacon, Lucian Freud e anche i Beatles, David Hockney ed Elizabeth II che raccontano un mondo capace di mischiarsi e incrociarsi, sottolinea ancora di più lo scollamento della moda di oggi dal resto della produzione culturale internazionale. Oggi, quando va bene, nei giornali di moda (e anche su Vogue UK) ci sono solo gli attori di Hollywood che fanno finta di raccontare le loro vite. Più che nostalgia inutile, la riflessione andrebbe portata sulle cause che hanno portato sia i giornali di moda sia la moda stessa a raccontare, in modo scontato, omologato e ripetitivo, il mondo parziale che cortocircuita intorno a loro. E da qui ripartire per sciogliere tutti i nodi che riguardano il mercato, le fashion week e la fruizione e fondare un nuovo presente di un settore che si è palesemente incartato su se stesso.

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