Nella prima giornata di caldo infernale, con una temperatura percepita di 38 gradi, migliaia di persone a New York hanno preferito non andare al mare ma riversarsi a Foley Square, la piazza davanti al municipio, e poi attraversare il ponte di Brooklyn a piedi, in una delle manifestazioni organizzate in città all’interno della protesta nazionale contro la politica di Trump sull’immigrazione. «Families Belong Together», le famiglie devono stare insieme, questo il tema e l’hashtag ufficiale della mobilitazione: cortei, comizi, sit in di ogni tipo si sono tenuti in tutti i 50 Stati dell’Unione per dimostrare, ancora una volta, che difendere i diritti dei migranti non è un sentimento che attraversa solo le due coste liberal e ormai filosocialiste, ma è un sentire americano nel senso più tradizionalista possibile.

BILL HA 57 ANNI, è un consulente bancario e è arrivato alla manifestazione con un cartello su cui ha scritto «Sono registrato come repubblicano, sciogliete Ice». Ice, Immigration and Customs Enforcement, è l’ormai famigerato dipartimento della Homeland Security che si occupa del controllo delle frontiere e che ha tra i suoi compiti separare le famiglie e implementare sul territorio la politica della tolleranza zero di questa amministrazione.

«Non c’è bisogno di essere un democratico per sentirsi oltraggiato da ciò che sta facendo Ice – dice Bill – I repubblicani non sono questa cosa qui, non fa parte della nostra politica. Abbiamo un diverso approccio all’economia e alla gestione delle risorse, certo, ma quello che sta accadendo ora va contro ogni valore umano, prima che americano, e molto prima che repubblicano. È tutto profondamente sbagliato».

MEGAN È VISTOSAMENTE incinta e anche lei cammina sul ponte di Brooklyn: «Come posso non riconoscermi in quei genitori a cui hanno tolto i bambini alla frontiera? – dice continuando a marciare sotto il sole – Sai che età ha il bambino più piccolo che è stato dislocato nel centro di New York, spedito qui dal confine texano con il Messico? Nove mesi. Un bebè di nove mesi è stato tolto da sua madre che probabilmente non sa nemmeno dove sia, io potrei impazzire se mi trovassi in una situazione simile»

Nei giorni passati, visto che al confine non ci sono abbastanza strutture per ospitare tutti i migranti presi dall’Ice, centinaia di bambini sono stati dislocati in strutture federali di altri Stati e città. Spesso sindaci e governatori non avevano idea della loro esistenza, come è accaduto al sindaco di New York, Bill De Blasio, simbolo della resistenza a Trump, che in una conferenza stampa furente ha invitato i cittadini ad aiutarlo ad opporsi.

LA PIAZZA FORSE PIÙ ATTIVA in queste settimane è Washington Dc, dove da giorni ci sono proteste e azioni di disobbedienza civile e dove decine di migliaia di persone sono arrivate a manifestare fino ai cancelli della Casa bianca. Ai cortei sparsi in tutti gli Stati uniti hanno partecipato società civile e politici, come Elizabeth Warren a Boston e John Lewis, un monumento vivente ai diritti civili, che dalle lotte fatte con Martin Luther King non ha mai smesso di protestare e di far sentire la propria voce. «Potremmo dover mettere l’America sottosopra, per farla andare dalla parte giusta», ha detto Lewis durante il comizio che ha preceduto la manifestazione di Atlanta, in Georgia.
Cortei si sono tenuti da Honolulu nelle Hawaii, ad Anchorage in Alaska, dalla megalopoli Los Angeles, ad Antler, in North Dakota, paesino vicino al confine canadese con una popolazione di 27 persone che sono tutte scese a protestare.

«QUANDO VEDO QUESTO penso che forse abbiamo una speranza – dice Seth, 47enne, mentre distribuisce bottigliette d’acqua ai manifestanti che sono approdati all’altro capo del ponte di Brooklyn – È dal giorno seguente l’elezione di Trump che ci sono manifestazioni, d’altronde ogni giorno c’è una ragione per scendere in piazza. Vedere famiglie divise, qualunque sia la ragione, non è accettabile e non è americano. Ma cosa pensa questa amministrazione? Che li lasceremo fare? Non conoscono la loro gente? Sono un avvocato, so di un mio collega, Lindsay Toczylowski, direttore esecutivo della Immigrant Defenders Law Center di Los Angeles, il cui cliente ha tre anni. Deve difendere i diritti di un bambino a cui è stato ordinato di comparire in tribunale per discutere il proprio procedimento di espulsione. Non voglio vivere in questo incubo».