«Non abbiamo altre strade da percorrere. L’Alta Corte di Giustizia, con i suoi 11 giudici, è il grado più elevato del sistema giuridico israeliano e purtroppo ha legittimato la legge Stato-nazione». Non getta la spugna l’avvocata Mayssana Morani, del centro di azione legale Adalah, ma sa che la legge fondamentale contro la quale ha scritto la petizione presentata ai massimi giudici ora è una realtà piena e che sarà arduo metterla in discussione se non interverranno in Israele profonde trasformazioni politiche e ideologiche. E al momento nulla segnala che ciò possa accadere in tempi brevi.

Due giorni fa la corte ha convalidato la legge fondamentale approvata dalla Knesset esattamente tre anni fa che definisce Israele come Stato della nazione ebraica e non di tutti i suoi cittadini, molti dei quali (circa il 21%) sono arabi. Dieci degli 11 giudici – ha fatto eccezione solo George Karra, l’unico arabo nella corte –, hanno sostenuto che la Stato-nazione non contravviene «il carattere democratico» di Israele. «Questa legge fondamentale è solo un capitolo della nostra costituzione che sta prendendo forma e non nega il carattere di Israele come Stato democratico», ha scritto nella sentenza Esther Hayut, la presidente della corte. Una interpretazione fortemente contestata dalla minoranza araba e diversi israeliani ebrei perché afferma nero su bianco la proprietà ebraica dello Stato di Israele e, denunciano i centri per i diritti civili, rappresenterà una fonte primaria per sentenze delle corti minori che potrebbero discriminare i cittadini non ebrei nell’assegnazione delle terre statali e nella sfera pubblica. Il suo testo inoltre non contiene la parola «uguaglianza» che pure è inclusa nella dichiarazione d’indipendenza di Israele.

«È stata introdotta una norma in cui la natura ebraica di Israele è superiore rispetto ai valori democratici dello Stato. Se prima Israele si definiva ebraico e democratico ora è lo Stato della nazione ebraica. Appartiene a ogni ebreo nel mondo ma non ai suoi cittadini arabi». Così disse al manifesto tra anni fa, dopo il voto alla Knesset, lo stimato storico israeliano Zeev Sternhell (scomparso lo scorso anno). Un giudizio condiviso oggi da Mayssana Morani. «I leader israeliani – ci dice – ripetono che la natura dello Stato di Israele è ebraica e democratica. Ma chi opera per i diritti, per la democrazia e per l’uguaglianza questa affermazione contiene un ossimoro. C’è una contraddizione intrinseca tra dichiarare Israele lo Stato degli ebrei e non di tutti i suoi cittadini e proclamarlo al contempo democratico. Assegna nero su bianco uno status diverso ai cittadini ebrei rispetto a quelli non ebrei».

La legge Stato-nazione tra i suoi vari punti afferma che la biblica Terra d’Israele è la patria storica degli ebrei e che al suo interno è stato fondato lo Stato d’Israele, lasciando intendere che i cittadini non-ebrei non hanno diritto di reclamare la propria appartenenza a quella stessa terra. In termini pratici un ebreo che abita a Washington e ha mai vissuto in Israele può vantare diritti e appartenenza a differenza di un cittadino arabo israeliano che pure con la sua famiglia vive da generazioni nella sua terra storica. Sancisce anche che lo Stato di Israele «vede lo sviluppo dell’insediamento ebraico come un valore nazionale e agirà per promuovere il suo consolidamento». Ciò non vale per i cittadini arabi. Tutto regolare per il ministro della giustizia Gideon Saar che ha accolto con soddisfazione la decisione della suprema corte. La Stato-nazione, ha twittato Saar, è «una legge importante che sancisce l’essenza e il carattere di Israele come Stato del popolo ebraico». Forte invece è la delusione di Ayman Odeh, leader della Lista unita araba. «Continueremo a combattere fino a raggiungere la piena uguaglianza per tutti i cittadini, la vera giustizia e la vera democrazia», ha promesso.