Importante passo avanti nella battaglia per i diritti civili negli Stati Uniti. Ieri la Corte suprema ha dato torto a cinque stati Usa (Indiana, Utah, Oklahoma, Virginia e Wisconsin) che volevano rendere illegale il matrimonio fra persone dello stesso sesso, confermando dunque alcune sentenze di corti inferiori.

Un’importante vittoria per il movimento glbt, impegnato in una dura battaglia politico-legale per il riconoscimento in tutti gli Usa del matrimonio egualitario, attualmente ammesso in 19 stati.

Per molti analisti la strada verso l’abolizione definitiva delle discriminazioni è spianata, ma non è ancora detta l’ultima parola: la decisione di ieri non entra nel merito della questione, e i supremi giudici potrebbero essere presto nuovamente chiamati in causa per dirimere definitivamente la controversia che da anni oppone l’America progressista a quella conservatrice.

Sono attese nelle prossime settimane, infatti, le sentenze di altre corti d’appello federali relative alle normative statali sui matrimoni omosex, ed è possibile che la corte del sesto circuito, con sede a Cincinnati e giurisdizione su 4 stati, si esprima contro i diritti glbt.

A quel punto, la Corte suprema dovrebbe necessariamente decidere una volta per tutte se è ammissibile che uno stato vieti il matrimonio egualitario o se invece ciascun cittadino Usa possa godere di un eguale diritto costituzionale a sposarsi con una persona dello stesso sesso in tutta la federazione.

Dal movimento glbt nordamericano sono in molti a chiedere alla Corte di «finire il lavoro» cancellando le discriminazioni ancora presenti in molti stati a maggioranza repubblicana.

I giudici supremi sono 9: progressisti e conservatori sono 4 pari, con il centrista Anthony Kennedy a fare l’ago della bilancia.