Nell’anteguerra, un gruppo di appassionati fondò il Real Automobil Club Italiano di Tripoli – era il 1925 – e organizzò i primi Grand Prix del continente africano su una pista in asfalto e terra battuta intorno all’aeroporto (che poi diventerà il circuito di Mellaha, prendendo nome dalle adiacenti saline), invitando piloti e marchi famosi. Nel 1933 la corsa venne finanziata con un concorso a premi, la lotteria di Tripoli, prima grande riffa nazionale, dove vennero sorteggiati i biglietti vincenti, legati a premi in denaro di notevole entità, accoppiati con le auto dei partecipanti. Un avvenimento straordinario, alla presenza di un folto pubblico, perfettamente documentato dai cinegiornali dell’Istituto Luce.

DA QUI È PARTITO lo scrittore Daniel Fishman, autore dell’avvincente La lotteria dei milioni (edito da Bookabook, pp. 215, euro 12) per un’accurata ricostruzione dell’epoca, basandosi su documentazione storica e incrociando le fonti, per narrare la vita sonnolenta della Tripolitania, la febbrile attesa della gara, il successo dell’iniziativa (furono venduti 1,5 milioni di biglietti a 12 lire l’uno) e i tanti personaggi della provincia italiana, catapultati nello scenario desertico della Quarta Sponda a inseguire le loro aspirazioni, tra affaristi e speculatori. Sullo sfondo il lungomare Conte Volpi, con balaustre di marmo sulla falsariga delle tante riviere italiane, col profumo di palme, le distese di sabbia, i cesti di datteri e le squadre di zaptiè, poliziotti indigeni, con fez e fusciacca rossi, divise bianche e cachi, che marciavano e s’allenavano.

Tutto il paese, ebbro di meccanica e modernismo, che «correva verso un futuro radioso» e seguì i protagonisti della corsa, coi maggiori campioni del tempo Tazio Nuvolari, Achille Varzi, Baconino Borzacchini, l’inglese Tim Birkin, Giuseppe Campari, che indossavano i loro caschi-cappucci di pelle, occhialoni e guanti, calati dentro questi «siluri» d’acciaio delle scuderie Alfa Romeo, Maserati e Bugatti che toccano i 200 km orari, pronti a destreggiarsi su un percorso quasi pianeggiante di tredici chilometri, da percorrere trenta volte.

Tra i possessori dei tagliandi vincenti, un segretario comunale, il signor Umberto Donati di Cellino Attanasio abbinato a Nuvolari e Arduino Sampoli di Castelnuovo Berardenga, commerciante di legname, abbinato a Varzi. Proprio la rivalità tra Nuvolari, il figlio del Diavolo, col suo stile lucido e selvaggio e Varzi, freddo e razionale calcolatore di traiettorie e accelerazioni, veniva da lontano. Entrambi avevano cominciato a correre sulle moto prima di passare alle quattroruote e continuavano a dividersi gran parte delle vittorie, nei circuiti di mezza Europa.

A TRIPOLI C’ERA, nella griglia di partenza, l’ingegnere Enzo Ferrari a preparare automobili con la consueta dedizione e genialità. Anche la corsa libica avrà lo svolgimento previsto, tra ritiri, rifornimenti, rotture di serbatoio e guasti, fino all’epilogo sul rettilineo finale tra Nuvolari e Varzi. Secondo la ricostruzione, tre esperti guidatori -Varzi, Nuvolari e Borzacchini- si erano messi d’accordo per dividersi i premi ottenuti, senza rispettare l’ordine d’arrivo. Una combine in piena regola, organizzata con la regia di un famoso giornalista sportivo, Giovanni Canestrini. Un astuto imbroglio per spartirsi il montepremi milionario che il regime fascista mise subito a tacere nonostante diverse prove e un incontro tra i «congiurati» all’hotel D’Azeglio di Roma con la presenza di un notaio. Tuttavia la vittoria finale al fotofinish, uscendo dalla scia, a sorpresa, dona imprevedibilità alla gara e richiama gli epici duelli che hanno reso popolare in tutto il mondo l’automobilismo dagli anni ’60 in poi.