Chiude bene con un + 3,7% Mps a Piazza Affari, all’indomani del consiglio di amministrazione che ha confermato la strategia della ricapitalizzazione di mercato da 5 miliardi, lasciando sullo sfondo l’ipotesi di un intervento pubblico. Domani a Siena si riunirà di nuovo il cda, che aspetta di avere una risposta positiva dalla Consob per poter consentire anche ai risparmiatori privati la conversione volontaria delle obbligazioni subordinate in azioni. Il passaggio è decisivo: dopo aver raccolto con la stessa operazione un miliardo di euro dagli investitori istituzionali, Rocca Salimbeni confida di raccogliere almeno un altro miliardo dai circa 40mila risparmiatori che possiedono circa 2 miliardi di sub obbligazioni.
Per i risparmiatori “di sportello”, che nei fatti non avevano avuto in precedenza la possibilità di convertire i loro bond, la scelta sembra presentare a questo punto più opportunità che rischi. Se infatti l’aumento di capitale fallisse e la banca fosse costretta a chiedere l’intervento pubblico, per le regole europee nel settore del credito – la direttiva Brrd, quella che ha introdotto il bail-in ben conosciuto dai sub obbligazionisti di Etruria, Banca Marche & c. – i titoli subordinati diventerebbero sostanzialmente carta straccia. Al contrario le azioni del Monte dei Paschi sono considerate sottovalutate da molti addetti ai lavori, che non si stancano di ricordare come, solo di beni immobili, la banca abbia proprietà pari ad almeno dieci volte la sua attuale, scarsissima, capitalizzazione di borsa.
Se l’operazione avesse successo, i vertici Mps sarebbero in pratica a metà strada nella corsa alla ricapitalizzazione. Anche perché il clima di rinnovata fiducia potrebbe convincere altri potenziali azionisti, come il fondo sovrano del Qatar che viene dato sempre alla finestra per un possibile investimento da un miliardo, ad entrare nella compagine azionaria dell’istituto di credito. Potendo contare per giunta sull’annunciato intervento del nuovo governo – il decreto legge omnibus sul settore bancario – teso fra le tante a risolvere, o quantomeno ad attenuare, il peso dei crediti deteriorati dell’intero comparto.
Per certo comunque si tratta di una corsa contro il tempo, vista l’indiscrezione – peraltro mai confermata – che vorrebbe la Bce ancorata alla data del 31 dicembre per completare l’intera operazione, con il diniego alla richiesta di Rocca Salimbeni di prorogare di venti giorni la dead line per la ricapitalizzazione. Per questo tutte le sigle sindacali dei lavoratori del credito lanciano un vero e proprio appello: “La settimana che si apre, anche in relazione alla presenza di un governo in carica, appare fondamentale per mettere in sicurezza Mps e dare stabilità al settore – osservano Fisac Cgil, Fabi, First Cisl, Uilca, Sinfub, Ugl Credito e Unità Sindacale – ma occorre che tutte le parti in causa, istituzionali, politiche, aziendali, sindacali e lavorative, agiscano con alto senso di responsabilità e a tutela dell’interesse comune”.
I sindacati bancari guardano non solo (e non tanto) a Mps, quanto al decreto legge omnibus sul settore, visti i tanti fronti aperti lasciati in pesante eredità dal governo Renzi. Così puntualizzano: “Sarebbero inaccettabili ulteriori ritardi nell’affrontare la situazione da parte del governo, così come, a livello interbancario, comportamenti commerciali sbagliati e unilaterali tendenti ad ottenere vantaggi concorrenziali di brevissimo periodo per pochi, a danno degli interessi generali”.
Dal Mef è stato fatto informalmente sapere che c’è fiducia che l’operazione di aumento di capitale Mps si possa concludere con successo. Questo anche se il consorzio di garanzia delle banche d’affari guidate da Jp Morgan e Mediobanca si è sfilato dall’impegno, che peraltro era lautamente ricompensato, di detenere le azioni che non saranno collocate sul mercato. Al tempo stesso le banche d’affari del consorzio hanno confermato che continueranno a cercare potenziali acquirenti per il Monte dei Paschi. In grado, come ha fatto Generali che ha convertito 400 milioni di bond in azioni, di diventare azionisti “pesanti” del terzo gruppo bancario italiano con un investimento mirato.