Non chiamatelo «passaporto». Il sesamo per aprire le porte delle frontiere interne tra i 27 stati membri della Ue (più i paesi che aderiscono a Schengen) si chiamerà green certificate, il semaforo verde che ogni cittadino avrà su un’app o su carta per certificare se è stato vaccinato, se ha un test negativo al Covid recente o se è immunizzato dopo essere guarito. Oggi, l’Europarlamento discute e vota il mandato per aprire in procedura d’urgenza un negoziato con la Commissione, che ha proposto il green certificate il 17 marzo scorso, e il Consiglio, che ne ha approvato l’idea il 14 aprile.

L’idea di fondo è arrivare a una armonizzazione europea per ripristinare la libera circolazione, che è «in cattivo stato dall’inizio della pandemia, le misure imposte dagli stati sono state in completa violazione del codice di Schengen», denuncia l’europarlamentare socialista spagnolo Juan Fernando López Aguilar. I paesi membri hanno preso misure diverse per frenare la propagazione del virus, ci sono state e ci sono ancora restrizioni all’entrata, sono imposti obblighi di test o quarantene. Si è creato così un patchwork confuso e in continua mutazione, a danno della libera circolazione. Ci sono state serie conseguenze economiche nel settore dei trasporti e del turismo, che pesa il 10% del pil europeo (e in certi stati del sud arriva al 13%).

«Le frontiere sono tornate» denuncia l’europarlamentare olandese di Renew, Sophia N’T Veld, «la libera circolazione è un diritto fondamentale ma in questi mesi è stato solo teorico». Contro la Commissione, che ha previsto che ogni stato decida come utilizzare il certificato, l’Europarlamento chiede che dopo la sua entrata in vigore non sia più possibile ai 27 imporre altre misure nazionali di restrizione alle frontiere.

L’idea è seducente, ma il diavolo si annida nei dettagli. Intanto, i tempi: il green certificate non vedrà la luce prima di fine giugno, nella versione più ottimista. Il negoziato Parlamento-Commissione-Consiglio dura fino a fine maggio, poi ci saranno sei settimane per mettere in atto il certificato da parte dei 27, si rischia così di arrivare a vacanze finite.

La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha promesso di aprire le frontiere della Ue agli statunitensi «vaccinati» quest’estate, alcuni stati turistici, come la Grecia, hanno già concluso accordi con la Russia o Israele, per accogliere turisti «immuni». Il paradosso sarebbe quindi di avere la libera circolazione per persone extra-Ue, mentre gli europei saranno ancora impantanati a capire quali test o quarantene o blocchi sono in vigore in questo o quello stato.

Il certificato, denunciano alcuni parlamentari, può essere solo un gadget per di più discriminatorio se la vaccinazione resta lenta e una parte della popolazione non vi ha accesso (gli italiani residenti all’estero temporaneamente in Italia non ne hanno diritto, per esempio).

Ci sono poi le modalità con cui verrà redatto questo certificato. Tutti i gruppi politici sono d’accordo sul fatto che deve essere «gratuito». Gratis per tutti, compresi i turisti Ue, devono essere anche i test, come lo sono i vaccini. In alcuni paesi i test sono gratuiti (Germania, Francia), ma in altri i prezzi di mercato si impennano (si arriva a 250 euro in Finlandia). La discriminazione economica colpirebbe soprattutto i più giovani, obbligati a ricorrere ai test perché non ancora vaccinati. Il certificato sarà un modello unico e saranno quindi presi in considerazione solo i vaccini autorizzati dall’Ema, ma ci sono paesi, come l’Ungheria, che hanno omologato il vaccino russo e cinese. I cittadini europei vaccinati con Sputnik saranno privati del green certificate?

C’è poi il rispetto della privacy sui dati personali (quale vaccino, quando, malattia…). Un gruppo di 28 ong mette in guardia: può portare a una schedatura dei movimenti delle persone. Il green certificate dovrà essere «inter-operativo con i sistemi nazionali» (la Danimarca ha già un pass a uso interno, anche per andare al bar), sottolinea la Verde olandese Tineke Strik, e anche qui ci sono problemi di privacy, dovrà quindi contenere «dati minimi». Ci sono paesi, come la Francia, dove l’app TousAntiCovid è centralizzata. L’Europarlamento chiede anche una clausola sunset, cioè una data di scadenza definitiva, per esempio quando l’Oms dichiarerà la fine della pandemia, per evitare che si trasformi in uno strumento di controllo.