La bomba del dl Costa sulla prescrizione è finita in commissione e nelle intenzioni della maggioranza ci resterà a lungo. È il metodo tipico della «fase 1» di questo governo: rinviare, rinviare, rinviare. Però non può essere questo il marchio della «fase 2»: di questo il Pd, uscito con tutti gli assi in mano dalla sfida emiliana, è convinto. Ma i problemi che hanno trasformato nei mesi scorsi l’auspicata corsa del governo in una estenuante e lentissima marcia ci sono ancora tutti. Non è certo un caso se la «verifica» continua a slittare. Il premier Conte ins erata prova a dare almeno la parvenza di un’accelerazione, convocando per domani i capidelgazione alò governo, ora che l’M5S ha scelto Bonafede. Ma in questa prima riunione si dovrebbe parlare solo del «metodo» con cui avverrà la verifica. Per prudenza dalla lista delle questioni su cui confrontarsi sono state depennate prescrizione e autostrade. Sia Pd che M5S avrebbero deciso di accantonare le questioni più spinose.

Che i problemi di sempre stiano ancora lì a ostacolare tutto lo hanno chiarito lunedì il pronunciamento un po’ sgangherato di Vito Crimi, reggente a 5 stelle, e ieri l’affondo di Renzi, sia pure in tono minore rispetto a quel che sarebbe piombato sulla maggioranza in caso di sconfitta in Emilia. Anche così, però, il leader di Italia viva non rinuncia alle stilettate: «Il vero vincitore in Emilia-Romagna è Bonaccini. Gli altri possono metterci il cappello ma la vittoria ha il suo nome e il suo cognome». E sul governo: «Se ora è più forte lo scopriremo solo vivendo. Ma deve darsi una mossa, cambiare marcia e passo. La ricreazione è finita». In realtà il Pd, nella sostanza, la pensa esattamente allo stesso modo. Ma non sfugge a nessuno che nei toni di Renzi c’è una considerevole vis polemica in più.

La guerriglia dell’ex premier, il caos di un M5S in decomposizione. I nodi sono quelli e a doverli sciogliere è un solo leader: Giuseppe Conte. Il premier si è posto, subito dopo il voto di domenica, come uomo di punta e cemento dello schieramento «anti-salviniano». Ha chiesto lui di essere intervistato da Lilli Gruber, sulla 7, proprio per rivestirsi ufficialmente e pubblicamente di quel ruolo. Nella stessa giornata di lunedì è salito discretamente al Colle per fare il punto sul nuovo quadro politico con Mattarella. Il Pd gli riconosce tutti gli onori. Lo spalleggia, fa blocco, gli permette di assumere un ruolo determinante. Ma non dimentica gli oneri: rimettere a posto Renzi evitando quello scontro Pd-Iv a cui mira invece il ragazzo di Rignano e soprattutto riportare all’ordine i pentastellati allo sbando. «Scene come quella di Crimi non devono più ripetersi», si lascia sfuggire un dirigente del Pd.

Il partito di Zingaretti darà una mano. Non chiederà rimpasti, anche se, fanno notare in molti in area Nazareno, «potrebbe farlo e ne avrebbe il diritto». Eviterà di mettere le dita negli occhi ai 5Si, facendo trasparire i toni duri del «poliziotto cattivo» Orlando ma solo per lasciarli poi stemperare dal «poliziotto buono» Zingaretti, eviterà quanto più possibile polemiche dirette con Renzi. Il resto sta a Conte. È lui che deve guidare, con una fermezza che sin qui non si è vista: anche a costo di minacciare una crisi che i 5S e Renzi non si possono permettere di affrontare. Ed è sempre lui che deve, nelle prossime settimane, mettere in cantiere progetti tali da consentire che si parli davvero di una Fase 2. Le elezioni in Emilia sono state una boccata d’ossigeno, hanno scalfito l’immagine vincente di Salvini e frenato la tentazione di emigrare nel gruppo leghista al Senato. Ma la partita è ancora tutta da giocare e per il Pd il tempo dei rinvii deve finire.