Corruzione sistemica, è il potere del denaro sulla politica
«Perché hai rapinato la banca?» chiede il poliziotto. «Beh, i soldi stanno lì, no?», risponde il rapinatore. La storiella è vecchia ma sempre attuale: i corrotti prendono i soldi da chi li ha, cioè gli Stati. Di sicuro ne hanno anche gli ultraricchi, da Elon Musk a Jeff Bezos, ma quelli non hanno bisogno di far girare trolley pieni di banconote perché ciò che vogliono ottenere lo ottengono direttamente dai governi, ben felici di obbedire.
Nelle complicate vicende del cosiddetto Qatargate una sola cosa è chiara: spesso i regimi autoritari hanno bisogno di darsi una verniciatina di rispettabilità e quindi si rivolgono a chi li può aiutare. Nel caso Panzeri-Kailli-Giorgi siamo di fronte a protagonisti (il Qatar e il Marocco) con sostanziosi interessi che andavano difesi a colpi di quattrini, mazzette di petrodollari così abbondanti da arrivare fino a personaggi di mezza tacca: deputati, ex deputati, assistenti parlamentari che potevano spendere qualche buona parola per i loro padroni ma certo non potevano prendere decisioni in prima persona.
Non inganni il roboante titolo di «vicepresidente del Parlamento europeo» di Eva Kaili: in una fase storica in cui i parlamenti contano sempre meno, in tutto il mondo, una vicepresidente può fare qualche dichiarazione, rilasciare interviste, millantare credito ma le decisioni si prendono altrove. Tra l’altro, assieme alla Kaili c’era soltanto un altro europarlamentare del Pasok: le truppe semplicemente non c’erano.
Da una settimana giornali e televisioni ci intrattengono con le foto delle valigie piene di euro, con i nascondigli improbabili per il denaro (oggi qualunque «risparmiatore» ha il conto in Svizzera, vedi il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana, e questi si fanno prendere con i contanti sotto i cuscini del divano?). Poi, naturalmente, c’è lo choc di vedere Antonio Panzeri, un ex segretario della Camera di Milano, arrestato come un craxiano qualsiasi trent’anni fa.
Purtroppo lo spettacolo assomiglia sempre di più all’esibizione di un prestigiatore: ci distrae da una realtà ben più complessa e preoccupante. La corruzione sistemica al centro delle relazioni internazionali. In questi giorni Foreign Affairs ha scritto che «i pagamenti sottobanco sono diventati strumenti fondamentali delle strategie nazionali, sfruttati per ottenere risultati politici specifici e per condizionare il contesto politico più ampio dei Paesi destinatari”.
Naturalmente, la rivista che è da decenni la voce dell’establishment di politica estera degli Stati Uniti si affretta ad aggiungere che «la relativa trasparenza e libertà dei paesi democratici li rende particolarmente vulnerabili a questo tipo di nefasta influenza». Questo è precisamente l’opposto della verità: da sempre Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno corrotto politici e generali, nei paesi del Terzo mondo, facendone delle rispettive creature. I loro protetti sono rimasti al potere per decenni, dallo Scià di Persia Reza Pahlavi a Somoza in Nicaragua e a Bokassa nella Repubblica Centrafricana.
Quello che ci interessa qui è però un altro aspetto della questione: oggi i petrodollari conferiscono un potere reale a paesi considerati di seconda o terza fila nelle relazioni internazionali, come il Qatar e il Marocco. Il Qatar, come ha scritto qualche giorno fa Alberto Negri su queste colonne è «intoccabile» per il suo gas: lo ha ricordato ieri un ministro dell’emirato, minacciando di rivedere prezzi e quantità delle forniture all’Europa se magistrati e giornalisti belgi continueranno a ficcare il naso nei suoi affari.
La corruzione è sistemica perché è sistemico il potere del denaro sulla politica. Per esempio, da decenni la maggioranza degli americani è favorevole a un’estensione della copertura sanitaria pubblica ma la potentissima lobby delle assicurazioni sanitarie private lo impedisce (né Obama, né Biden hanno veramente provato a cambiare la situazione).
La corruzione è sistemica perché «fare politica è diventato un training per diventare affaristi», come ha scritto Concita De Gregorio qualche giorno fa. Non al livello dei sindaci che nella grande maggioranza dei casi si sbattono onestamente per far funzionare una macchina amministrativa impazzita ma al livello dei primi ministri: Tony Blair, Gerhard Schröder, José Barroso. Nicolas Sarkozy, quando era ancora presidente, disse: «Après, je veux faire du pognon», il bottino nel gergo della malavita francese.
La corruzione è sistemica per un motivo molto semplice: il bilancio dello Stato corrisponde a oltre il 50% del prodotto interno lordo in tutti i paesi occidentali, con in testa la Francia (62%), seguita da Belgio, Italia, paesi scandinavi, Spagna, Germania e Gran Bretagna (Giappone e Stati Uniti stanno al 46-47%). Sono le cifre di previsione per il 2020, quindi prima della pandemia, ora è certamente di più. Questo significa che i soldi stanno lì, per tornare alla storiella citata all’inizio, ed è lì che vengono cercati e trovati.
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