La sanità pubblica come vacca da mungere: 9 persone arrestate a Roma per corruzione e turbativa di appalti e altre dieci indagate per traffico di influenze e falso. Tra di essi il deputato di Forza Italia Antonio Angelucci, che da portantino è divenuto ras delle cliniche grazie ai buoni uffici del banchiere Cesare Geronzi e alla capacità di accreditamento presso il servizio sanitario.

Angelucci compare da sempre in cima alla graduatoria dei parlamentari più ricchi: nel 2015 dichiarava redditi per poco meno di quattro milioni di euro. L’anno successivo si è fermato a 1 milione e 657.

L’indagine tocca anche l’ex magistrato di Cassazione Franco Amedeo, noto alle cronache per aver redatto il verdetto sulla frode fiscale Mediaset, che costò il seggio da senatore a Silvio Berlusconi in virtù della legge Severino.

Le indagini dei carabinieri del Nas hanno preso il via nello scorso mese di maggio, a seguito della denuncia presentata dall’ex convivente di uno degli imprenditori. La donna avrebbe raccontato che il suo fidanzato era solito pagare tangenti.

Gli accertamenti si sarebbero allargati a macchia d’olio, consentendo agli inquirenti di cartografare quella che il gip Massimo Di Lauro definisce «una ramificata rete di reciproche facilitazioni affaristiche finalizzate alla realizzazione di profitti e vantaggi personali, perpetrate mediante traffici di influenze e la redazione di false attestazioni».

Il sostituto procuratore Corrado Fasanelli avrebbe ricostruito una catena che pare uscita da un film a episodi, ognuno dei quali contiene uno spaccato della commistione tra funzionari pubblici e profitti privati.

In carcere da ieri ci sono i personaggi principali: due dirigenti dell’Asl Roma1 e un gestore di laboratori di analisi cliniche. Ai domiciliari ci sono sei tra dipendenti Asl e imprenditori. Il primo episodio riguarda proprio il deputato berlusconiano, per il quale si ipotizza il reato di traffico di influenze.

Nella prima scena, Angelucci avrebbe contattato Maurizio Ferraresi, medico dirigente dell’Asl Rm1 e presidente della commissione patenti speciali, nel tentativo di sistemare un procedimento in Cassazione relativo a un sequestro preventivo a carico della sua Tosinvest. Come contropartita, Angelucci avrebbe promesso a Ferraresi di sistemare un po’ di faccende in famiglia: il patto pare prevedesse l’assunzione delle fidanzate dei suoi due figli in una delle sue aziende.

Nella scena successiva, compare l’ex toga Amedeo, indagato per corruzione. Costui ha a sua volta una questione da risolvere: una sua amica deve mettere una protesi al seno e necessita di un certificato medico per ottenere il rimborso. In cambio dell’interessamento, Amedeo incassa da Ferraresi la promessa di ottenere quel documento, ovviamente falso. L’intera operazione sarebbe sfumata per il rifiuto del presidente di Cassazione di accogliere le richieste del suo collega. Angelucci sostiene che l’intero teorema della procura si basa su «due assunzioni che non sono avvenute».

Attorno a Ferraresi ruoterebbero poi i 4 milioni e 140 mila euro incassati dal laboratorio di analisi cliniche «Diagnostica medica» per prestazioni eseguite, attraverso segnalazioni a utenti che, per ottenere il certificato di abilitazione alla guida, dovevano sottoporsi a visita. Per il «dirottamento» verso il settore privato, pare che Ferraresi ricevesse un fisso di 5 mila euro al mese.

E poi, ecco la terza storia, c’è l’accordo che Claudio Cascarino, responsabile dell’ufficio operativo dell’Asl Roma 1 che in un’intercettazione si definisce «il Re con il coltello dalla parte del manico». Tramite Ferraresi, Cascarino avrebbe raggiunto un accordo con alcuni imprenditori per truccare una gara da 14 milioni di euro relativa ai lavori di manutenzione di edifici di competenza dell’azienda sanitaria.

Il direttore generale della Asl Roma 1 Angelo Tanese fa sapere che «l’azienda sta collaborando fin dalle prime ore del mattino a fornire tutta la documentazione richiesta dalla Procura» e «non appena avrà notizie più circostanziate adotterà nei confronti dei dipendenti coinvolti i provvedimenti disciplinari del caso, sino all’eventuale risoluzione del rapporto di lavoro».