Sbagli reparto, apri una porta e scopri una stanza piena di macchinari sanitari nuovi, mai usati, accatastati in un intrico di fili elettrici. Si fa presto a dire «spreco». A volte la parola giusta è «corruzione» oppure, a forza di tagli e blocco del turn-over, manca semplicemente il personale per metterli in funzione: in questo caso si parla di spreco passivo o «inefficienza».

Un’indagine presentata ieri, curata dal Censis per il progetto coordinato da Trasparency international Italia «Curiamo la corruzione», evidenzia come in una Asl su quattro si è verificato almeno un episodio di corruzione negli ultimi dodici mesi. La ricerca prende in esame 136 strutture sanitarie da Nord a Sud (nel Sud la corruzione dal 25,7 % passa al 37,3%) attraverso un questionario inviato ai dirigenti responsabili dei piani anti-corruzione. Questi piani, attivati dal 2012, ad oggi sono stati adottati dal 51,7% delle aziende per controllare spese e procedure d’appalto, ma spesso – dice l’indagine,- sono un pro forma, redatti con la tecnica del copia-incolla.

I settori dove risultano più frequenti i rischi di corruzione sono: la violazione delle liste d’attesa, con favoritismi ai pazienti che si rivolgono a prestazioni a pagamento intramoenia o in cliniche private collegate, la segnalazione dei decessi alle imprese funebri e le prescrizioni di farmaci sponsorizzati tramite inviti a convegni e regalie ai medici che li prescrivono.

E i tagli? come incidono nella dinamica della clientela, del favoritismo agli amici degli amici? «Non molto è cambiato dal 17 febbraio di 25 anni fa quando proprio dalla sanità, dal Pio Albergo Trivulzio e dal “mariuolo” Mario Chiesa prese avvio Tangentopoli, anche due giorni fa nell’ultimo scandalo, all’ospedale Santobono di Posillipo, si è parlato di una tangente del 5%, sempre per un appalto sulle pulizie, stessa quota del Trivulzio. Ciò che è cambiato nel frattempo è che le risorse pubbliche ora scarseggiano e così la corruzione va direttamente a incidere su una ulteriore diminuzione delle prestazioni. Non è un caso che nel 2016 per la prima volta dal 1978 l’aspettativa di vita degli italiani ha invertito il trend, cioè è diminuita».

Chi risponde così è Francesco Macchia, il presidente dell’Ispe-Sanità, istituto no profit per la promozione dell’etica nella sanità che nel 2013 ha redatto il primo Libro bianco sulla corruzione nel settore, sviluppando un modello di analisi. È in base a questo studio che si può fare una stima del danno al sistema sanitario: la corruzione vale il 5% delle spese correnti del comparto più pesante della spesa pubblica, la sanità appunto . Calcolando la spesa sanitaria 114 miliardi di euro (nel 2013) l’Ispe valuta che 3,2 miliardi finiscono in inefficienze, 14 miliardi in sprechi e 6,4 miliardi in corruzione, per un totale di 23 miliardi di corruption, il fenomeno totale.

Nel più ottimistico rapporto del Censis la corruption viene invece stimata in un range di 4-9 miliardi di euro.

In ogni caso nella relazione della Corte dei Conti di due giorni fa al Senato è stato calcolato come dal 2009 al 2015 lo Stato abbia ridotto le spese per la sanità di un punto percentuale l’anno. Ciò significa che in Italia la spesa sanitaria pubblica pro capite è di 1.900 euro, contro i 2.500 euro della Francia. «È chiaro che in questa situazione – continua Macchia – l’impatto di 5-6 miliardi sprecati nella corruzione diventa del tutto insostenibile e incide direttamente non solo nel taglio dei servizi ma nella tenuta stessa del sistema».

Anche per l’ong Trasparency Italia l’indice di percezione della corruzione nelle corsie e negli ambulatori risulta stabile «da almeno otto anni». In aggiunta c’è però il fenomeno nuovo, almeno nelle dimensioni, della «burocrazia difensiva»: i dirigenti pubblici, incluso nelle Asl e nelle aziende ospedaliere, preferiscono non assumersi responsabilità per timore di finire denunciati o penalizzati per non aver coperto i corrotti. Ecco perché il progetto «Curiamo la corruzione» punta sulla formazione etica permanente dei dipendenti seguendo codici di condotta e corsi.