A meno di un anno dalle elezioni generali, le fondamenta del Partido Popular (Pp), attuale forza di governo con maggioranza parlamentare assoluta, stanno tremando, scosse dalle rivelazioni sul diffuso sistema di corruzione che sta facendo implodere il partito. Qualche mese fa era stato Luis Bárcenas, ex tesoriere del Pp, a far gridare allo scandalo per un giro di fondi neri e bustarelle che coinvolgerebbe la cupola del partito, compreso il premier Mariano Rajoy. Poi, scoppiata nelle ultime settimane, la bomba delle carte di credito senza fondo occultate al fisco e concesse ad alti dirigenti bancari legati al Pp. Un caso clamoroso, che ha coinvolto amministratori di entità finanziarie finite in bancarotta e salvate con soldi pubblici: tra di essi Rodrigo Rato, una delle più importanti menti economiche del Pp, ora espulso dal partito per cercare di lavare un’immagine ormai imbrattata di fango. E proprio quando sembrava che le cose non potessero andare peggio per i popolari, un ennesimo scandalo di corruzione si è abbattuto sulla formazione di governo: questa volta si tratta di una rete di clientelismo e tangenti per concessioni edilizie nella regione di Madrid.

Operación Púnica, l’hanno battezzata gli inquirenti, ma l’inchiesta – che sta seminando lo scompiglio nel Pp – è conosciuta negli ambienti giuridici anche con il nome di «trama del 3% madrileño». Una definizione eloquente, che si riferisce alla commissione che vari politici (soprattutto del partito popolare madrileno) intascavano in cambio della concessione di appalti edilizi a imprese private.

I magistrati (il giudice dell’Audicencia nacional Eloy Velasco e il giudice istruttore Carmen Garcia) ipotizzano che tra il 2012 e il 2014 siano state riscosse tangenti su un volume di appalti pari a circa 250milioni di euro.

Tra ieri e lunedì i primi arresti: ben 51 persone, tra cui il presidente della regione di Castilla y León (Pp) e sei sindaci di località della Comunidad de Madrid (5 popolari e un socialista). Le indagini sarebbero però cominciate già lo scorso febbraio, a seguito della scoperta di 1,5 milioni depositati su un conto svizzero intestato a Francisco Granados, il nome più illustre tra i 51 imputati finiti dietro le sbarre. Granados fu infatti segretario generale della sezione madrilena del Pp e, fino al 2011, numero due di Esperanza Aguirre, attuale presidente del Pp Madrid e una delle figure più influenti all’interno dell’organizzazione nonostante l’aperto contrasto con Rajoy. Aguirre, che a suo tempo scelse personalmente Granados come segretario generale, ha presentato lunedì pubbliche scuse alla cittadinanza, e ha ammesso di sentirsi «direttamente responsabile» della condotta del suo ex braccio destro. Una strategia adottata nella serata di ieri anche da Rajoy, che in senato – ed è la seconda volta da quando è al governo (il precedente riguarda il caso Bárcenas) – «ha chiesto perdono a nome del Pp a tutti gli spagnoli per aver affidato incarichi di cui non erano degni a persone che, in apparenza, ne avrebbero abusato». Con queste parole attese ma insperate (giunte nel giorno in cui l’ex segretario del Pp ha dichiarato in tribunale per il caso Bárcenas e a 24 ore dalla deflagrazione dell’operazione Púnica) il premier ha rotto l’abituale e ostinato silenzio; segno che la direzione popolare sta cercando un cambio di rotta in extremis per tentare di riprendere le redini di una situazione sfuggita di mano. Ma è soprattutto il danno di immagine a preoccupare il partito, che ha infatti già avviato il programma di lavaggio rapido, espellendo dal Pp con insolita prontezza, tutti gli imputati militanti tra le sua fila. Decisione sacrosanta, ma probabilmente fuori tempo massimo: il susseguirsi di scandali ha innescato un’ondata di indignazione sociale – tanto più ribollente in un paese impoverito dalla crisi e sempre più allergico agli Epuloni – che sembra ormai destinata a travolgere il governo e il Partido popular.