Il finanziamento di 500 mila euro che nel 2005 l’ex presidente della Regione Puglia, Raffaele Fitto (Pdl), ricevette dall’imprenditore Giampaolo Angelucci come sostegno al movimento politico ‘La Puglia prima di tutto’, fondato nello stesso anno dall’ex ministro agli Affari regionali per sostenere Forza Italia durante le elezioni regionali, è stato «il prezzo della corruzione del Fitto da parte dell’Angelucci». E’ quanto scritto nelle 796 pagine di motivazioni, depositate ieri, della sentenza dei giudici della seconda sezione del Tribunale penale di Bari, con la quale lo scorso 13 febbraio hanno condannato in primo grado l’attuale parlamentare Pdl a 4 anni di reclusione (3 dei quali condonati per effetto dell’indulto) per corruzione, illecito finanziamento ai partiti e abuso d’ufficio ed interdetto per 5 anni dai pubblici uffici.

L’ex governatore Fitto è stato assolto dall’accusa di peculato e per un altro presunto episodio di abuso d’ufficio. I reati contestati all’ex ministro si riferiscono al periodo 1999-2005, quando appunto ricopriva la carica di governatore della Puglia. A tre anni e sei mesi di reclusione è stato condannato il re delle cliniche romane ed editore Giampaolo Angelucci, ritenuto colpevole di corruzione e illecito finanziamento ai partiti, in concorso con Fitto. Ad altri undici dei 30 imputati sono inoltre state inflitte pene comprese tra 1 anno e 4 anni e 6 mesi di reclusione.

L’episodio cardine del processo derivante dall’inchiesta denominata La Fiorita riguarda l’appalto settennale per la gestione di 11 residenze sanitarie assistite (Rsa), diffuse in tutta la Puglia, del valore di 198 milioni di euro, vinto all’epoca dei fatti dal gruppo Tosinvest, della famiglia Angelucci. Fitto, uomo di punta del Pdl pugliese e candidato capolista alla Camera alle scorse elezioni politiche di febbraio, ha sempre negato ogni addebito, spiegando, come nelle dichiarazioni spontanee rese in aula il 26 gennaio e 13 febbraio scorso, che quella sulle Rsa «fu una gara regolare».

Secondo i giudici del tribunale di Bari però, Raffaele Fitto aveva «un disegno molto più ampio rispetto alla semplice volontà di attivare le strutture sanitarie», che avrebbero sopperito alla drastica riduzione dei posti letto ospedalieri imposta dalla legislazione nazionale e dal bilancio regionale. Un disegno – scrivono i giudici – che «ha consentito a Fitto di contare su un appoggio economico di rilievo per il suo movimento politico che proprio in quel periodo si stava formando». Per ottenere i 500mila euro da Angelucci – ricostruisce il tribunale nelle motivazioni della sentenza – Fitto compì una «diretta intromissione nelle decisioni spettanti ai direttori generali delle Asl sulla attivazione delle Rsa e sul tipo di gestione da scegliere», accentrando «in una gara unica tutti gli appalti per gestire le Rsa». «Ciò – scrivono ancora i giudici – al fine di creare a monte tutti i presupposti perché venisse espletata una gara di tale portata economica ed impegno organizzativo per i soggetti proponenti» che «solo un unico e importante gruppo imprenditoriale sarebbe stato capace di presentare». Nonostante la sconfitta elettorale a favore di Nichi Vendola, il presidente uscente – secondo il tribunale – si attivò per estendere ad altre tre Rsa (venendo però boicottato da dirigenti e funzionari regionali) l’appalto vinto da Angelucci con il Consorzio San Raffaele in quanto «aveva assunto degli impegni» che secondo i giudici non erano altro che il corrispettivo dei finanziamenti che il gruppo Tosinvest di Angelucci doveva elargire al movimento di Fitto.

Ricostruzione definita «surreale» dall’avvocato di Raffaele Fitto, Francesco Paolo Sisto, anch’egli parlamentare del Pdl. «Un finanziamento al partito, non a Fitto, riconosciuto regolare – argomenta Sisto – per forme e modalità analogo a decine di finanziamenti versati ad altri partiti dallo stesso soggetto, diventa incredibilmente illecito e tangente perché Angelucci vince una gara, ritenuta regolare, con numerosi partecipanti, senza ricorso al Tar, istruita e gestita dall’Ares, il cui dirigente è stato assolto perché il fatto non sussiste». «Fitto – conclude il legale – non ha visto un euro di quel finanziamento, utilizzato, come la Corte del Conti ha verificato, del tutto correttamente per spese e causali elettorali».