È vero che esiste una larga parte del paese a cui delle questioni politiche non interessa nulla; dieci anni di antipolitica militante hanno trasformato il discorso pubblico in un paesaggio depressivo, popolato al massimo di risentimenti incrociati. Ma è anche evidente che nelle ultime settimane quest’aria claustrale è attraversata da correnti impreviste.

Dopo un mese di mobilitazioni importanti – People a Milano il 2 aprile, la festa della donna l’8, lo sciopero per il clima il 15, la manifestazione a Verona contro il congresso della famiglia il 23 – il senso comune si è rapidamente trasformato e la politica non è sembrata più la stagione avvilente del teatrino dei talkshow e delle dirette Facebook. L’inquietante foto di Matteo Salvini con il mitra (23 aprile) o il giochino miserabile per cui sempre Salvini il 25 aprile è andato a inaugurare un commissariato a Corleone e a fare campagna elettorale in Sicilia sono stati due passi falsi.

La festa della liberazione quest’anno non è stata un rituale stanco: il suo essere divisivo, che per qualcuno può valere come insulto, invece traccia un confine tra due culti diversi: quello della religione civile dell’antifascismo e quello della viltà dell’indifferenza.

La polemica intorno al Salone del libro – al netto dei giudizi personali, e qui preferisco astenermi essendo coinvolto in prima persona – ha avuto un risultato innegabile: si è aperto un dibattito che ha coinvolto tutti sui temi cardinali della libertà e della democrazia. Si è creato un precedente importante: anche qui si è riscoperto – cosa per niente scontata – che la religione civile dell’antifascismo non è un culto catacombale. Si è capito che questo dibattito non può coinvolgere solo il mondo intellettuale; anche perché gli intellettuali servono a illuminare le contraddizioni, i paradossi, le mutazioni del mondo in cui viviamo. Se chiediamo a Socrate ogni volta di fare la parte di Pericle, svalutiamo il ruolo di Socrate ma soprattutto sviliamo quello che rappresenta Pericle.

Negli stessi giorni del salone di Torino a Roma andava in scena l’abietta aggressione alla famiglia assegnataria della casa di Casal Bruciato da parte di un gruppuscolo di neofascisti. Sembrava una puntata di una serie con un epilogo scontato: a Torre Maura poche settimane prima, un assedio simile aveva portato alla rinuncia di un progetto di ricollocamento di diverse famiglie rom, l’unico baluardo di resistenza era stato la testimonianza di un quindicenne poco spaventato dalle provocazioni. A Casal Bruciato invece la brutalità dell’intimidazione dei fascisti, arrivati anche a prendersela con i bambini, è stata bloccata dalla presenza di chi è sceso, nonostante la difficoltà, in piazza.

Di nuovo, non era scontato. Ancora meno prevedibile era che il giorno dopo la sindaca di Roma andasse a sostenere la famiglia rom e a prendersi i fischi, che il papa si volesse mostrare platealmente a fianco dei rom, invitandoli in Vaticano, e degli occupanti di Spin Time a Roma, con l’elemosiniere incaricato di garantire i diritti fondamentali – l’acqua, la luce – per 450 persone.

Esiste forse una nuova maggioranza che da silenziosa può diventare chiassosa: una comunità gigantesca, pacifica e democratica che si riconosce nei valori dell’antifascismo. E allora la questione è un’altra: ora sta ai liberali italiani decidere se farne parte o meno.

Per tradizione, convenienza, inerzia, distrazione, verrebbe da dire, hanno spesso rinunciato negli ultimi anni a presidiare questo campo delle libertà. In molti hanno flirtato e flirtano con i peggiori fautori delle involuzioni democratiche: da Dugin a Bannon, da Klaus a Orbán. Il sedicente sovranismo in Italia spinge per una riduzione importante dello spazio democratico; nei fatti è l’espressione di una destra conservatrice, o persino reazionaria ma liberale, ma il suo dichiarato nemico.

Il campo dei liberali è un campo conteso: proprio per questo gli esponenti di una destra matura, liberale, consapevole, hanno una responsabilità molto alta. Di sapere distinguere la difesa della libertà di espressione dalla sudditanza alla grancassa del peggiore squadrismo mediatico. Berlusconi aveva ancora presente questa distinzione (anche se ci sono stati nel ventennio berlusconiano molte tremende promiscuità, come all’inizio degli anni duemila, che non a caso hanno portato a un’elezione vinta con i voti di Avanguardia nazionale e alla macelleria messicana di Genova). La Lega di Salvini, in molte occasioni, non solo non l’ha presente, ma pratica e rivendica un’ossessione antiliberale – l’uso della polizia di stato da parte del ministro dell’interno anche come una sorta di milizia privata per ora è quasi solo evocata ma questo non riduce l’inquietudine per nulla.

Il mondo liberale deve fare una scelta di campo. La resistenza è stata possibile in Italia perché c’erano nelle file dei partigiani monarchici e comunisti, militari e disertori, atei e preti. È un’occasione importante di ricostruire una comunità, culturale e politica, che quando è divisa lo è spesso per piccole ragioni di bottega (ah, l’amore del particulare!), ma che – e si è visto in questi giorni – si può trovare a essere unita sullo stesso fronte.