Se l’«eterno candidato» Guillermo Lasso è riuscito a conquistare la presidenza dell’Ecuador partendo appena dal 19% dei voti del primo turno – contro il 66% di quelli raccolti dai tre candidati variamente identificati con la sinistra, Andrés Arauz, Yaku Pérez e Xavier Hervas –, non sarà facile per lui garantire la continuità delle misure neoliberiste.

Non è un via libera a tali politiche ciò che è emerso dal voto di domenica, giocato sull’alternativa non tra neoliberismo e anti-neoliberismo, ma piuttosto tra correismo e anti-correismo. Ma soprattutto, nell’Assemblea nazionale che si insedierà il 14 maggio, le tre forze che si autodefiniscono di sinistra, divise durante il processo elettorale, potranno trovare un punto di incontro proprio nell’opposizione alle misure annunciate dal banchiere, che potrà contare solo su 31 seggi contro i 49 dell’Unión por la Esperanza di Arauz e i 45 dell’alleanza tra Pachakutik e Izquierda Democrática.

GRANDI SFIDE si aprono in particolare per il movimento indigeno, deciso a proporsi come la «nuova sinistra», una «terza via» rispetto al correismo e al neoliberismo, come emerso dal forte seguito incontrato dalla proposta del «voto nullo ideologico» avanzata dalla Conaie e dal suo braccio politico Pachakutik: non solo per protesta contro il rifiuto da parte del Consiglio nazionale elettorale di procedere al riconteggio delle schede contestate dal candidato indigeno Pérez, ma anche per la distanza dai programmi dei due candidati al ballottaggio.

«Io non ordino né dispongo, fate quello che la vostra coscienza vi detta», aveva dichiarato Pérez prima del secondo turno, precisando però di non confidare né in Arauz né in Lasso. E in molti lo hanno seguito: più di un milione e 750mila le schede nulle, oltre il 16%, mai così tante nella storia del paese. E sufficienti a superare, per esempio, i voti ottenuti da Arauz in quattro province della Sierra (Cotopaxi, Tungurahua, Bolívar y Chimborazo) e in Azuay.

Ciò malgrado la scelta controcorrente a favore di Arauz del presidente della Conaie Jaime Vargas e da una parte dei popoli indigeni dell’Amazzonia ecuadoriana. La scelta è costata a Vargas l’espulsione da Pachakutik, insieme alla candidata a vice di Pérez, Virna Cerdeño, che aveva invece espresso il suo sostegno a Lasso.

SCONGIURATA una più grave spaccatura all’interno del movimento indigeno – anche Leonidas Iza, il leader delle grandi proteste anti-governative dell’ottobre 2019, si è espresso per il voto nullo – Pachakutik si appresta ad affermare in parlamento, in alleanza con Izquierda Democrática, la propria agenda programmatica.

Cominciando dal no alle privatizzazioni delle imprese strategiche, del sistema di salute e della banca pubblica per finire con il graduale superamento del modello estrattivista, ottimizzando lo sfruttamento petrolifero già in corso ma bloccando nuove concessioni.