Lo scorso anno a Cannes è diventato subito il film avvenimento del Festival, pagine sui quotidiani francesi, esaltazione critica, l’entusiasmo della scoperta, un tutto esaurito (era alla Quinzaine) gioioso. E poi tre César – miglior attrice, miglior giovane attore, miglior opera prima – più il premio della critica Louis Delluc, e soprattutto una serie di discussioni critiche sulle nuove possibile declinazioni della commedia oltralpe – argomento questo a cui gli addetti ai lavoro sono particolarmente sensibili. Niente male per un esordiente come è Thomas Cailley, trentacinque anni, studi di scienze politiche e di economia, tirocinio nella distribuzione cinematografica e qualche cortometraggio alle spalle.

 
Ma Les Combattants – in Italia col doppio titolo inglese e francese – ovvero «I combattenti» è un film davvero sorprendente, che smentisce le sue premesse spiazzando le aspettative di chi guarda. La storia inizia come un teen-movie, due ragazzi, vent’anni circa, si incontrano su una spiaggia d’estate. Sono Arnaud (Kevin Azais) e Madeleine (Adéle Haenel): insicuro e incerto sul suo futuro lui, di famiglia borghese lei, la sua unica preoccupazione sembra quella di coltivare (e esibire) in spiaggia il suo fisico. Si scrutano, si scoprono, litigano e infine capiscono di essere innamorati. Fin qui nulla di strano tranne che questo amore pone una condizione: il rapporto non dovrà essere soltanto sessuale, e a questo punto la variante «sentimentale» impone una uguale variazione narrativa. Madeleine non è in pace col mondo e con se stessa, e nella lotta trascina Arnaud che la adora (ma almeno all’inizio senza osare dirglielo).

 
Dopo una cena surreale a casa della mamma di Arnaud, dove Madeleine spiega quanto sia vicina la fine per tutti, lui decide però di lasciare il lavoro col fratello per seguire la ragazza in un addestramento militare da paracadutista nelle montagne per quindici giorni. E qui i due combattenti troveranno nell’amore la loro logica di sopravvivenza alla fine.
La domanda di fondo che Cailley pone è: cosa significa essere un ragazzo oggi? E cosa significa essere una ragazza? Madeleine, bionda e bella, il cui corpo «combattente» è il centro del film, vorrebbe essere un maschio mentre Arnaud è più delicato, anche se nei primi allenamenti riesce talvolta a averla vinta. Maschile e femminile però in questa dimensione straniata, e quasi folle che è appunto quella dell’addestramento – si dovrà riflettere sul perché nell’anno che è passato si è diffusa la tendenza a raccontare il romanzo di formazione dentro a uno schema militaresco – si confondono. E il capovolgimento dei generi sessuali determina anche un rovesciamento dei riferimenti cinematografici che Cailley mette in atto con una spudorata libertà. Commedia romantica, cronaca provinciale, film d’avventura e film catastrofico confondono le loro identità riconoscibili per offrire in questo modo ai protagonisti la possibilità di scegliere il loro posto (al mondo) e di seguire i loro desideri.

 
I due ragazzi rinunciano ai legami familiari, genitori, fratello, amici, e inventano dei personaggi, degli avatar di sé stessi, gli abitanti di un assurdo paradiso terrestre che prende la forma di un’operazione di addestramento in cui il pericolo maggiore è quello di cadere in un’imboscata. In questo spazio del possibile Cailley scatena un’energia tellurica, sorprendente per violenza emozionale e energia. Grazie anche al modo in cui utilizza la natura dell’Aquitania (dove il film è girato), anche se il suo paesaggio è comunque «naturalmente» civilizzato, e per questo crea situazioni paradossali. Al tempo stesso l’imprevedibile continua a esistere, qualcosa che sfugge a ogni controllo, le catastrofi naturali,come i grandi fuochi che bruciano le foreste all’improvviso, e la forza dei suoi protagonisti, bravissimi a rispondere al ritmo di un umorismo stravagante, eccentrico, dominato dal terrore dell’apocalisse.

 
Perché nella trama della storia scorre anche un sentimento doloroso (come la luce a volte obliqua e inquieta di Davd Cailley, fratello del regista) che illumina le immagini. Si passa nalla noia all’eccitazione, dalla dolcezza lunare di un sentimento amoroso ai sogni incandescenti. Ma ciò che si afferma in questo duetto di ragazzo incontra ragazza – o viceversa – spogliato alla sopravvivenza è il senso di paura, di precarietà, di paranoia (per dirla alla Snowden) che segna il nostro tempo, che Cailley esplora spostando la realtà su un piano quasi fiabesco, nel quale i ragazzi sono una generazione in crisi ma che non si piange addosso.

 
Tutto è una lotta, il film stesso nei suoi contraccolpi, nella fisicità anomala che disegna le sue immagini, e che è narrazione, perfomance e parola, quasi che nelle sfide ogni giorni rinnovate dei due ragazzi ci fossero quelle con la loro vita, il loro futuro, una specie di grido di di rivolta e di rivendicazione. «Ho cercato di strutturare la storia come un viaggio, partendo dal resort sul lungomare, passando per la strana comunità dell’esercito e, infine, il ritorno alla natura. Per arrendersi l’uno all’altro, i due protagonisti si devono annullare. Questo era uno degli obiettivi chiave. È risultata essere la soluzione migliore, e in sette settimane di riprese, un sacco di cosa sono cambiate a livello umano… Vivevamo in un luogo isolato, all’inizio del film, la distanza tra Arnaud e Madeleine è un abisso. Poi crescono insieme, molto gradualmente. Ero veramente interessato a vedere come si sarebbero contaminati a vicenda, e come e il desiderio reciproco potesse farli diventare un’altra persona» dice il regista. Cosa saranno noi non lo sappiamo. Di certo amanti, complici nella scoperta della vita. Dei combattenti, insomma.