La destituzione dell’«autorità» praticata, nel 68, dai movimenti contestatari è passata attraverso la destituzione del critico. Nel momento in cui gli artisti hanno voluto assumere il controllo dei modi di esposizione e commento delle opere, si è affermato il curatore indipendente, fiancheggiatore e complice, come snodo dei processi di valorizzazione dell’arte. E ha messo in ombra la relazione arte-critica, a distanza e conflittuale, da sempre necessaria per la mobilitazione civile. La saldatura con la realtà poteva compiersi in uno spazio-laboratorio destrutturato e non gerarchico, come in When attitudes become form (1969) di Harald Szeemann, facendo a meno dell’interpretazione, anzi rifiutandola (Susan Sontag, Against interpretation, 1964). Divenuto forza debole, il critico ha cominciato ad abitare terreni incerti. Ha abdicato per questo alla sua agenda?
Ghenos Eros Thanatos e altri scritti sull’arte 1968-75 di Alberto Boatto, a cura di Stefano Chiodi (L’Orma, pp.216, euro 28), non è l’ennesima impresa di canonizzazione di un autore nella storiografia artistica. Ma un documento e un racconto dell’espediente più originale e audace con cui la critica, negli anni Settanta, ha reinventato se stessa, disattendendo l’uscita di scena e l’autocondanna all’irrilevanza.

Il libro, con postfazione di Chiodi, lucida nel ricostruire un non facile percorso, si compone dei testi e delle foto del libro-mappa di Ghenos Eros Thanatos, la mostra organizzata da Boatto nel ’74 alla Galleria de’ Foscherari di Bologna, e di una rosa di suoi scritti. In uno di questi (Dalla simulazione alla realtà, 1970) Boatto fa notare, sulla scorta di Edgar Morin, che lo sforzo dei sessantottini di riappropriarsi della vita è rimasto sul piano di una simulazione: il «maggio» è stato riassorbito (peggio che essere sconfitto!) perché non ha mai tagliato i ponti con la normalità. Ci si è collocati all’esterno, nella norma violata, e non all’interno delle tensioni, lì dove era possibile operare la «flessione ottativa», lo spostamento verso il futuro che pure è costitutivo dell’arte. Il dissolvimento dell’oggetto artistico a favore del progetto è stato fittizio e l’arte ha continuato a funzionare nel «presente dell’epifania», illustrazione del già noto, anche nei più destrutturati spazi espositivi.

Boatto offre la sua «strategia di riserva»: dare visibilità alle situazioni limite dell’esistenza, la nascita (ghenos), l’erotismo (eros) e la morte (thanatos). Eccessi insieme ineluttabili e ordinari, repressi e rimossi nella cultura occidentale perché non allineati col presente, eppure veri avvenimenti vitali, pulsionali, in cui ricercare nuovi potenziali cognitivi e coordinate psicopolitiche. L’arte può tradurre nelle forme violente di eventi legati alla nascita, all’eros e alla morte, necessità biologiche soffocate. Non si tratta di rettificare i modelli conoscitivi sulla realtà, quanto di plasmare la realtà su altri modelli, passibili di ravvicinare corpo e comportamento.
Il curatore embedded non è adatto a questa transizione. L’ipotesi di liberazione deve infatti misurarsi, anche nell’arte, con l’orizzonte del suo accadere collettivo. Tocca a chi ha finora mediato tra sfera estetica e sfera politica – il critico – ridefinirsi intercessore: far percorrere all’uomo una seconda volta, perché arrivi a penetrarlo, ciò che egli è, «trasformare in segni la più vasta esperienza possibile». Nutrito di letture filosofiche e letterarie, psicoanalitiche e antropologiche, con una preferenza per i grandi distruttori, Sade, Freud Nietzsche, e per Artaud e Bataille fonti del Foucault della Trasgressione (1963), Boatto è un semiologo naturale. Pensa l’immaginario come luogo del doppio, della manifestazione della carne nelle declinazioni dell’immagine.
Ghenos Eros Thanatos è il banco di prova di questo approccio. La rassegna si svolge sui due fronti della mostra-libro – nel percorso espositivo immagini e parole sono accostate secondo libere associazioni, dadaisticamente – e del libro-mappa – tentativo di assumere in una struttura compositiva l’immagine attorno a cui ruotano le associazioni, con l’idea che «il mio io e il tempo stanno nella pagina» (Evento come avventura, 1968).

Ghenos: prendere parte alla nascita, controllare il trauma del proprio parto, facendo affiorare la propria antichità e ciò che già possediamo, ma senza averne consapevolezza: dopo l’asfissia, le tenebre e l’immobilità, la vita libero respiro, stazione eretta e motilità (Claudio Cintoli, Crisalide, 1972). Eros: l’attività erotica è allacciare un circolo, mezzo per stringere rapporti attraverso il corpo a corpo – catene, funi e tubi (Vettor Pisani, Lo scorrevole, 1970), compensando l’uomo della sete di negazione sottrattagli dai Governi per guerre capitalistiche (Sade). Non solo Duchamp impicca alcuni dei suoi luttuosi ready-made, ma la sposa nel Grand Verre è impiccata in una esecuzione in effigie.

Rispetto al grado 1 del narcisismo e 100 dell’orgasmo, il masochismo introduce lo 0 della morte a dosi omeopatiche, almeno finché la machine-ivresse non si muta in machine-danger (Giosetta Fioroni, Incidenti mortali durante attività autoerotiche, 1974). Thanatos: nel mondo moderno si muore, ma non si possiede la propria morte. I mass media la surgelano nei frigidaire delle «onoranze funebri» e retroagiscono sulla vita, appiattendola. Occorre stanare la morte da questi cerimoniali (Eliseo Mattiacci, Radiografia del proprio corpo, 1971).
Mentre suggerisce di vivere scrutando i ritmi del ghenos, dell’eros e del thanatos, Boatto inventa una scrittura non corresponsabile dell’opera. Se ne è accorto un artista, Fabio Mauri, che l’ha curiosamente tradotta in un appunto-diagramma (1975): un’unica linea che in basso è «saggio» – «spirale che si avvicina o allontana all’opera, con attrazione o repulsione» – in alto è «aereo», «fila via per proprio conto», «cieca dentro la luce». Testimonia la «condotta del saggio» che si è slegato dall’esegesi. E, pur di non può abituarsi all’assenza della critica, ha preso il rischio del «disorientamento». Sapremo farne tesoro?